Rifugiati
Incontrando un gruppo di migranti e rifugiati arrivati recentemente da Lesbo con i corridoi umanitari, il Papa lancia un ennesimo appello all’accoglienza di coloro che sono costretti a fuggire dalle loro terre nella speranza di un futuro migliore. “La nostra ignavia è peccato”, “non è bloccando le navi che si risolve il problema”. “Svuotare i campi di detenzione in Libia”. Da oggi, al Cortile del Belvedere, è appesa una croce “vestita” di un giubbotto salvagente.
“La nostra ignavia è peccato”. Dal Cortile del Belvedere, nel cui ingresso è appesa da oggi una croce di resina “vestita” da un giubbotto salvagente appartenuto ad uno dei tanti migranti ignoti che hanno perso la vita in mare, il Papa lancia un ennesimo appello ad accogliere e prendersi cura delle schiere di coloro che sono costretti a lasciare le loro terre a causa della nostra ingiustizia. “È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione”, spiega infatti Francesco incontrando in Vaticano un gruppo di rifugiati arrivati di recente da Lesbo con i corridoi umanitari.
“Non è bloccando le navi che si risolve il problema”,
il monito del Papa: “Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici perché al centro ci sia la persona, ogni persona, la cui vita e dignità sono preziose agli occhi di Dio. Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio”.
“È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare”,
ribadisce Francesco sulla scorta del suo primo viaggio apostolico a Lampedusa. “Il giubbotto ‘veste’ una croce in resina colorata, che vuole esprimere l’esperienza spirituale che ho potute cogliere dalle parole dei soccorritori”, spiega il Papa descrivendolo: “Questo è il secondo giubbotto salvagente che ricevo in dono. Il primo mi è stato regalato qualche anno fa da un gruppo di soccorritori. Apparteneva a una bambina che è annegata nel Mediterraneo. L’ho donato poi ai due Sottosegretari della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ho detto loro: ‘Ecco la vostra missione!’”. “Con ciò ho voluto significare l’imprescindibile impegno della Chiesa a salvare le vite dei migranti, per poi poterli accogliere, proteggere, promuovere ed integrare”, sottolinea Francesco specificando che “questo secondo giubbotto, consegnato da un altro gruppo di soccorritori solo qualche giorno fa, è appartenuto a un migrante scomparso in mare lo scorso luglio. Nessuno sa chi fosse o da dove venisse. Solo si sa che il suo giubbotto è stato recuperato alla deriva nel Mediterraneo Centrale, il 3 luglio 2019, a determinate coordinate geografiche”.
“Ho deciso di esporre qui questo giubbotto salvagente, ‘crocifisso’ su questa croce, per ricordarci che dobbiamo tenere aperti gli occhi, tenere aperto il cuore, per ricordare a tutti l’impegno inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti”.
Sono le parole scelte dal Papa per spiegare il motivo della sua scelta di collocare, nel Cortile del Belvedere, una croce in ricordo dei migranti e rifugiati, con appeso un giubbotto salvagente. “Nella tradizione cristiana la croce è simbolo di sofferenza e sacrificio e, al tempo stesso, di redenzione e di salvezza”, ricorda Francesco: “Questa croce è trasparente: essa si pone come sfida a guardare con maggiore attenzione e a cercare sempre la verità. La croce è luminescente: vuole rincuorare la nostra fede nella Risurrezione, il trionfo di Cristo sulla morte”. “Anche il migrante ignoto, morto con la speranza in una nuova vita, è partecipe di questa vittoria”, assicura il Papa: “I soccorritori mi hanno raccontato come stiano imparando l’umanità dalle persone che riescono a salvare. Mi hanno rivelato come in ogni missione riscoprano la bellezza di essere un’unica grande famiglia umana, unita nella fraternità universale”.
“Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile?”.
È il primo di una serie esigente di interrogativi con cui il Papa ha concluso il suo discorso: “Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli? Come possiamo ‘passare oltre’, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte?”. Infine, il ringraziamento a “tutti coloro che hanno deciso di non restare indifferenti e si prodigano a soccorrere il malcapitato, senza farsi troppe domande sul come o sul perché il povero mezzo morto sia finito sulla loro strada”.