Analisi
Brexit (e sue conseguenze), Green Deal, migrazioni, Balcani e bilancio: su questi fronti si misurerà il prossimo cammino dell’Ue. La Conferenza sul futuro dell’Europa, che partirà nella primavera 2020, dovrebbe mettere in agenda anche questi temi. Per una “casa comune”che funziona, al servizio dei cittadini europei
Sono almeno cinque i capitoli aperti nella politica europea che richiederebbe una sapiente convergenza di proposte e di decisioni coinvolgenti le istituzioni Ue (Parlamento, Consiglio, Commissione) e i governi dei Paesi aderenti.
Il primo, e più urgente, riguarda il Brexit, ovvero il recesso del Regno Unito dalla “casa comune”. Con il voto del 12 dicembre i britannici hanno assegnato una maggioranza assoluta al premier Boris Johnson, il quale – lo ricordiamo tutti – aveva promesso, giurando sulla propria testa, di portare l’isola fuori dall’Unione già alla fine dello scorso ottobre. Ora scuse non ce ne sono più. L’uscita di Londra è da ritenersi un successo – se così si può dire – del nazionalismo d’oltre Manica, condito da una buona dose d’irresponsabile populismo che si diffonde in tutto il continente. Le conseguenze del Brexit saranno pesanti, sull’isola (che sarà più sola) e per l’Europa nel suo complesso. Ma la decisione democratica degli inglesi va rispettata. Purché si faccia presto. Da oltre tre anni la scelta britannica tiene in scacco la politica Ue, che si è dovuta concentrare principalmente su questo “divorzio” anziché occuparsi dei problemi e degli interessi dei cittadini europei. Ora è tempo di mettere un punto fermo: Ue e Londra definiscano al più presto un ampio e dettagliato protocollo dei rapporti futuri, tutelando gli europei che vivono e lavorano nel Regno Unito. Così che ciascuno possa proseguire – pur restando amici e partner commerciali – il proprio cammino.
Il secondo capitolo riguarda il Green Deal, il “Patto verde” per rendere l’Europa un continente neutro dal punto di vista delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. Il Consiglio europeo del 12-13 dicembre doveva dare il via libera a un lungo e articolato processo per far sì che l’economia e gli stili di vita nell’Ue imboccassero decisamente questa strada. L’ostruzionismo della Polonia, la quale dipende quasi totalmente dai combustibili fossili, e altri delicati aspetti tecnici (quale il ruolo del nucleare? Gli investimenti verdi saranno “scontati” dal Patto di stabilità?) richiederanno nuovi approfondimenti. Europarlamento e Commissione spingono in questa direzione; i 27 governi frenano. Ma la via verso un’Europa “pulita” è irreversibile, nonostante il fallimento della Cop25 di Madrid e l’azione inquinante, senza ritegno, dei big player mondiali come Cina, Usa e Russia.
Terzo punto. Il nodo-migrazioni non può passare in archivio. Perché gli sbarchi continuano (e con essi le morti in mare), perché accoglienza e integrazione continuano a gravare solo su Italia, Malta e Spagna. La riforma dell’Accordo di Dublino è necessaria, nella direzione di una risposta solidale (obbligatoriamente solidale) alle migrazioni. Anche in questo caso l’opposizione di alcuni Stati, a partire dai Visegrad, dev’essere superata, magari agganciando la ripartizione dei fondi strutturali al rispetto delle regole Ue: tutte le regole, compresa appunto una gestione comune dei flussi migratori.
Non va neppure sottostimato – quarto elemento – il rapporto Ue-Balcani. I governi dei Paesi membri, riuniti in Consiglio, non hanno concesso l’avvio dei negoziati per una futura, per quanto lontana nel tempo, adesione di Macedonia e Albania. Eppure i Balcani sono parte integrante dell’Europa, un’area che richiede di essere accompagnata verso la democrazia piena, la difesa dei diritti fondamentali, la lotta alla corruzione e al malaffare, lo sviluppo economico e sociale. È interesse anche dell’Europa avere dei vicini di casa politicamente stabili, economicamente in crescita, socialmente avanzati.
Quinto, ma non ultimo capitolo da risolvere, è il Qfp, il Quadro finanziario pluriennale, ovvero il bilancio Ue per il periodo 2021-2027. Per far fronte ai capitoli precedenti e alle numerose competenze dell’Unione – che spaziano dal sostegno all’economia agli aiuti alle regioni meno sviluppate, dalle politiche giovanili alla cultura, dall’ambiente alla sicurezza, dalla ricerca all’energia… – servono investimenti. I quali rimandano a un bilancio adeguato. I governi dei Paesi membri, che spesso imputano all’Ue il peccato dell’inazione, devono far sì che Bruxelles abbia in cassa i fondi necessari per agire. Il populismo di certi leader politici raggiunge il suo apice proprio nell’assegnare compiti e colpe all’Unione, negandole però – con un bilancio modestissimo, pari all’1% del Pil europeo – la capacità di intervenire in settori strategici della vita dei cittadini, delle famiglie, delle imprese…
Su questi punti misureremo nei prossimi mesi il cammino dell’Unione. E la Conferenza sul futuro dell’Europa, che partirà nel 2020, dovrebbe mettere in agenda tutti questi temi. Per una Ue che funziona, al servizio degli europei.