Crisi libica

Libia. Mercuri (esperta): “Soluzione della crisi adesso nelle mani di Russia e Turchia”

Con l’impegno diretto di Russia e Turchia, al fianco rispettivamente del generale Haftar e del premier al-Serraj, si complica la crisi in Libia. Ne parliamo con Michela Mercuri, docente di Geopolitica, autrice del saggio “Incognita Libia”  

(Foto: AFP/SIR)

Dalla caduta, nel 2011, del colonnello Muammar Gheddafi la Libia rappresenta uno spazio geopolitico ambito da attori regionali e potenze internazionali che cercano di condizionarne l’assetto futuro anche in considerazione delle sue enormi ricchezze petrolifere. La guerra in atto tra il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Egitto, Arabia Saudita, Francia, Emirati, e il suo rivale, il premier del governo di unità nazionale (Gna) sponsorizzato dall’Onu, Fayez al-Sarraj, appoggiato da Turchia e Qatar, conferma quanto la crisi libica si stia sempre più allargando, varcando i confini propriamente regionali. A tutto questo va aggiunto che il Paese nordafricano è diventato nel frattempo un centro di immigrazione clandestina, dove approdano decine di migliaia di migranti subsahariani che tentano di attraversare, spesso annegando, il Mediterraneo e raggiungere l’Europa.

Michela Mercuri, analista e docente di Geopolitica del Medio Oriente

Ma in Libia trovano solo sfruttamento e torture. L’intervento diretto di Russia e Turchia sullo scacchiere libico sta cambiando gli equilibri della crisi, come spiega al Sir Michela Mercuri, analista e docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano e di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata.

“La Russia e la Turchia di fatto hanno preso possesso della guerra in Libia: la Russia, con i mercenari a fianco del generale Khalifa Haftar e la Turchia, a sostegno del premier al-Sarraj, con l’invio a breve di qualche migliaio dei suoi soldati. Siamo davanti ad una guerra per procura fra questi due attori internazionali”.
Con l’intervento di Russia e Turchia quali sviluppi potrebbe avere questa crisi?
Due le ipotesi possibili. La prima, la più improbabile, è quella di una escalation del conflitto. La seconda, la più plausibile, è che in questo momento le due potenze stiano mostrando i muscoli per arrivare, in fondo, ad un accordo di spartizione della Libia in zone di influenza. Non dimentichiamo, infatti, che per Turchia e Russia, la Libia è un tassello di una partita con in ballo interessi molto più grandi. Non c’è solo l’affare miliardario della vendita alla Turchia da parte della Russia di sistemi missilistici S-400 ma il progetto del Turkish Stream, il gasdotto che consentirà alle forniture russe di arrivare direttamente in Turchia attraverso il Mar Nero. Appare chiaro che un accordo tra Putin e Erdogan sia più che plausibile. Resta da vedere quale sarà, all’interno di questa possibile intesa, il ruolo degli altri attori internazionali. Credo che molto dipenderà dalla capacità di proporre un piano per la Libia che possa essere accettato da Russia e Turchia, i due Paesi da cui ora dipende la soluzione della crisi.

Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo che la Libia è strategica per i nostri interessi nazionali sia per la sicurezza che per la dipendenza energetica. La recente visita del ministro degli Esteri, Di Maio, a Haftar e al-Sarraj, potrà servire a restituire all’Italia un ruolo di primo piano all’interno del Paese nordafricano?
L’Italia sta attuando degli sforzi diplomatici tardivi ma sicuramente importanti. Sta tenendo aperto un dialogo con tutte le parti, tra al-Sarraj e Haftar, e con tutti gli attori che li sostengono. Ci sono state telefonate del nostro premier Conte con Putin e il presidente egiziano Al Sisi, entrambi alleati di Haftar. Tuttavia credo che questi sforzi diplomatici – in un momento in cui si registra da un lato una escalation di violenze sul terreno e dall’altro si nota che le sorti del conflitto sono gestite da Turchia e Russia, che combattono sul terreno – difficilmente troveranno una loro reale applicazione a meno che le due potenze non decidano di convergere all’interno di un tavolo internazionale. Ma una cosa è certa…

Quale?

Se la soluzione del conflitto libico sarà diplomatica o militare questo non dipenderà né dall’Italia, né dall’Ue, ma da cosa vorranno fare i due player internazionali coinvolti, Russia e Turchia.

La posizione dell’Eni in Libia è più solida di quella dell’Italia?
L’Eni ha da sempre avuto una sua diplomazia indipendente in Libia, sostenuta da quella italiana. Anzi, molto spesso, è stata l’Eni a supportare la politica e la diplomazia italiana, e non il contrario, come dovrebbe essere. L’azione dell’Eni continua riuscendo a estrarre un buon numero di barili di petrolio al giorno, nonostante le diatribe tra le milizie locali, che spesso ne interrompono la produzione. Questo grazie ad una serie di contatti e accordi con le tribù libiche, che si muovono a prescindere dalla situazione politica interna. Sicuramente il memorandum di fine novembre scorso tra al-Sarraj e la Turchia – che istituisce una zona economica esclusiva (Zee) e amplia la cooperazione militare per la sicurezza tra le due parti – potrebbe creare grossi problemi anche all’Eni.

L’Ue ha reiterato l’appello a tutte le parti libiche perché cessino le azioni militari e ricomincino il dialogo politico, ritenuto l’unico modo per risolvere la crisi libica…
In questo momento l’Ue sta cercando di attuare un accordo del ‘minimo comune denominatore’. Intendo dire che, posta dinanzi alla completa espulsione dal teatro libico – penso ad attori come la Francia che nel 2011 erano intervenuti direttamente in Libia per defenestrare Gheddafi – l’Ue stia lavorando ad una linea comune per stabilizzare il Paese nordafricano. Probabilmente in chiave anti-turca per la paura che Erdogan vada a occupare spazi anche energetici di interesse europeo.

Istituire una forza di interposizione che divida le forze di al-Serraj e Haftar potrebbe aiutare ad avviare un negoziato come chiede l’Ue?
Non credo possa funzionare, anche se in passato ho detto che sarebbe auspicabile. Sarebbe, in ogni caso, difficile da realizzare perché dovrebbe avere almeno il sostegno di Russia, che giudico molto difficile, e Stati Uniti, assenti dallo scacchiere libico perché non hanno ancora ben chiara qual è la loro posizione. Difficile anche militarmente perché da parte europea, Italia in testa, non c’è propensione ad una azione militare nel caos libico. In ogni caso la decisione di una forza di interposizione andrebbe assunta in ambito Onu. L’Ue in Libia si è sempre dimostrata piuttosto scollata e questo scollamento ha favorito l’ingresso sul terreno di altre potenze.

A gennaio è prevista la Conferenza di Berlino sulla Libia: quali risultati, realisticamente, potrebbe avere?
Potrebbe avere successo solo se l’Ue sarà capace di presentarsi con un progetto politico serio e concreto e condiviso da Russia e Turchia. Se l’Ue riuscisse a coinvolgere questi due Paesi e a farli sedere intorno ad uno stesso tavolo proponendo loro una road map per la Libia, in questo caso avremmo recuperato l’unità di vedute europee e qualche postazione in Libia. Viceversa tutti quegli attori che hanno voluto defenestrare Gheddafi per potersi spartire la torta libica, gioco forza dovranno accontentarsi delle briciole.