Editoriale
Siamo giunti, col 1° gennaio 2020, alla 53ª Giornata mondiale della pace, al 53° dei messaggi, sempre forti e incisivi, rivolti dai papi che si sono succeduti in questi decenni ai capi delle nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà. Se da una parte possiamo dire che anche questo augusto magistero è servito a evitare i catastrofici conflitti che hanno segnato i decenni precedenti, si deve purtroppo constatare che la pace nel mondo è ancora lontana dall’essere raggiunta, tanti sono i conflitti che turbano la serena convivenza all’interno dei popoli e tra le nazioni.
Siamo giunti, col 1° gennaio 2020, alla 53ª Giornata mondiale della pace, al 53° dei messaggi, sempre forti e incisivi, rivolti dai papi che si sono succeduti in questi decenni ai capi delle nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà. Se da una parte possiamo dire che anche questo augusto magistero è servito a evitare i catastrofici conflitti che hanno segnato i decenni precedenti, si deve purtroppo constatare che la pace nel mondo è ancora lontana dall’essere raggiunta, tanti sono i conflitti che turbano la serena convivenza all’interno dei popoli e tra le nazioni. Il cammino è ancora e sempre lungo e faticoso. Proprio la metafora del “cammino” viene assunta da papa Francesco come concetto chiave del suo messaggio diffuso l’8 dicembre scorso. “La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica”. Occorre prima di tutto – ribadisce più volte il papa – “sperare nella pace”, anzi “credere nella possibilità della pace”, nonostante la dura realtà che sembra allontanarla dagli orizzonti del mondo. Quello della pace è un “cammino di ascolto” che si fonda sulla “memoria” del passato – come sottolineato dal papa nella sua visita in Giappone -, non solo “per non commettere di nuovo gli stessi errori” ma perché “suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace”: la memoria diventa così “l’orizzonte della speranza” necessaria “per aprire processi che riconcilino e uniscano persone e comunità”. C’è infatti bisogno di “artigiani della pace”, sempre aperti al dialogo, capaci di “riconoscere nel nemico il volto di un fratello”. È un “cammino che dura nel tempo”, nella ricerca paziente della verità e della giustizia che apre ad una speranza comune generando “capacità di compassione e solidarietà creativa”. È “cammino di riconciliazione nella comunione fraterna”, imparando a guardarci a vicenda come fratelli considerando sempre l’altro “per la promessa che porta in sé”. Ed è “cammino di conversione ecologica” contro lo sfruttamento abusivo delle risorse naturali, costruendo una “relazione pacifica tra le comunità e la terra”, con uno sguardo che apra “all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato”, adottando “modelli di società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro”, in una “gioiosa sobrietà della condivisione”. Occorre una “conversione integrale” nelle relazioni con sorelle e fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato e con il Creatore. “Non si ottiene la pace se non la si spera”, ammonisce ancora Francesco. Il cristiano è aiutato dal sacramento della Riconciliazione che richiede di deporre ogni violenza verso il prossimo e verso il creato: un cammino da offrire poi anche agli altri diventando autentici “artigiani di giustizia e di pace”.
(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)