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Né martiri, né eroi” “

Né martiri, né eroi. Semplicemente cittadini e giornalisti che hanno reso un servizio alto alla verità ed hanno fatto più grande l’Europa della pace e ” “della speranza. ” “” “” “

Quando una città brucia alcuni stanno a guardare, altri sfidano le fiamme. Riprendendo questa immagine, dedicata loro da un “corrispondente di guerra” si può dire che i sette giornalisti europei uccisi in Afghanistan dall’inizio della guerra al terrorismo (l’australiano lavorava per una testata inglese), hanno raccolto il testimone lasciato dai vigili del fuoco di New York ai piedi delle torri gemelle nel sacrificio dell’11 settembre.
Lo hanno lasciato, a loro volta, alle porte di Kabul.
Il coraggio dell’andare oltre i limiti di sicurezza per adempiere il proprio compito é maturato nella fatica di un lavoro, nella consapevolezza di una responsabilità personale e professionale messa alla prova nei giorni più difficili e bui.
I giornalisti caduti, proprio mentre si levavano i primi confusi gridi di vittoria, non hanno avuto bisogno di molte parole per spiegare i motivi del loro partire, del loro osare e del loro rischiare. Di molte parole non hanno bisogno altri che in quella terra martoriata e in mille angoli del mondo sono impegnati ad offrire con il loro lavoro un contributo alla verità, alla giustizia, alla pace.
Quando si vive il mestiere di giornalista con dignità, cioè con onestà intellettuale e con competenza non solo tecnica, si arriva a scelte controcorrente, lontane dallo spettacolo, dal tornaconto e dal protagonismo.
Per raccontare la realtà di una guerra si arriva anche a rischiare la vita senza per questo sentirsi martiri e neppure eroi. Prevale un’umiltà, che richiama il senso del dovere ed è propria di maestri che, per primi, non si ritengono infallibili.
Avanguardie d’Europa, disarmate ed anche poco protette, hanno detto che il vecchio continente non è fatto solo da insaziabili consumatori e frequentatori permanenti di grandi magazzini, discoteche, campi di calcio, salotti ma è abitato da uomini e donne che hanno una storia, una cultura, una fede.
Sette giornalisti dicono che l’informazione è un bene che va difeso e promosso ad ogni costo da tutti perché senza di essa la libertà, la democrazia e la giustizia sono più fragili, più esposti alla violenza ed alla follia. Così hanno cambiato la direzione e la qualità di un’informazione che i signori del terrorismo e quelli della guerra avevano incominciato ad usare, riuscendo in parte nell’intento, come arma più potente di altre.
Ma questi morti sono anche un monito per un’Europa che dall’11 settembre ha politicamente balbettato nelle sue risposte alla crisi internazionale.
Ed infine dicono che il mestiere di giornalista, come altri, ha bisogno di trovare nella società civile un sostegno anche critico ma non un giudizio sommario per alcuni suoi cedimenti. Hanno testimoniato che non pochi consumano le suole delle scarpe sulle strade del mondo per raccontare la vita, denunciare le ingiustizie e le violenze, smascherare i corrotti ed i corruttori. La loro fatica, la loro coerenza e il loro sacrificio avevano radici profonde in una cultura europea aperta al mondo.
Né martiri, né eroi. Semplicemente cittadini e professionisti che hanno reso un servizio alto alla verità ed hanno fatto più grande l’Europa della pace e della speranza.