guerra e media" "
” “Gli ultimi giorni ” “di Pierre Billaud, inviato di Rtl, ucciso ” “dai talebani, ” “raccontati dal suo collega e amico, ” “Rémi Sulmont ” “” “
Pierre Billaud di RTL, Johanne Sutton di Radio France Internationale, Volker Handloik di Stern, sono i tre giornalisti uccisi dai talebani in un’imboscata domenica 11 novembre in Afghanistan. Abbiamo raggiunto telefonicamente Rémi Sulmont , giornalista di RTL a Parigi. Sulmont ha preceduto in Afghanistan Pierre Billaud.
Cosa ricorda del suo collega Pierre Billaud, che ha perso la vita in Afghanistan?
“Ho due ricordi che valgono per tutti. Il primo: eravamo tutti colpiti dalla sua ‘volontà feroce’ di testimonianza, dalla sua ‘sete di partire’. Pierre era a New York per gli attentati al World Trade Centre. Appena tornato a Parigi volle subito andare in Afghanistan. Aveva un’energia rara. Era impressionante, quasi ci metteva in crisi. Il secondo ricordo è legato al fatto che io mi trovavo in Afghanistan prima di lui. Mentre gli leggevo al telefono la lista di quello che avrebbe dovuto portare per rendere meno difficili le condizioni di vita e di lavoro, scherzava sul fatto che questa missione sarebbe stata particolarmente complicata. Avevo già fatto altre staffette con lui; mi rammento di Gerusalemme, qualche tempo fa, ma allora si alloggiava in albergo, con tutte le comodità. Mi disse che sarebbe stato senz’altro più difficile in Afghanistan che in Israele. Ma questo non lo condizionava minimamente”.
Forse Pierre ha preso troppi rischi?
“Era in Afghanistan da tre settimane, raccoglieva comunicati che provenivano da tutte le parti. Spesso contrastanti, contraddetti solo ventiquattr’ore dopo. Era frustrante, poiché si poteva solo essere interpreti di una guerra invisibile. Domenica scorsa, per la prima volta, Pierre ha avuto l’opportunità di andare a verificare di persona; per una volta, non si trattava di riportare dichiarazioni altrui che non potevano trovare riscontro. Una cosa è certa: da quanto ci scriveva, Pierre di rischi sconsiderati non ne ha mai presi. I suoi testi erano pieni di analisi e di colore, si poneva tutte le domande possibili. Ed é salito su quel camion. E’ il suo mestiere che l’ha ucciso, non la sua passione. Erano tre settimane che aspettava, finalmente ha avuto l’opportunità di avere accesso ad una città precedentemente in mano ai talebani. Salire sul carro è stato normale. Pierre lavorava in équipe, con altre due giornaliste francesi. Non ha preso da solo la decisione di salire sul camion, è stata una scelta comune, ponderata e condivisa. Come lui, Johanne Sutton non è tornata”.
Raccontare la guerra forse oggi è più difficile che in passato. Quali evoluzioni si possono riscontrare?
“Il conflitto in Afghanistan è stato finora diverso da tutti i precedenti. La stampa è presente in forze ma non ci sono le notizie. Perché non arrivano, o perché sono troppo contrastanti per permettere di discernere la realtà. E allora si cerca di raccontare la guerra come si può. Con i comunicati, che poi si cerca di verificare quando possibile, cioè molto di rado. In Afghanistan si è cominciato a poter verificare l’attendibilità di un’informazione soltanto a partire da venerdì scorso 9 novembre. Il conflitto ha fronti in continuo movimento, non sono più quelli definiti delle guerre ‘tradizionali’. Le forze a terra si spostano in continuazione, lasciando poco spazio all’orientamento. Poi girano molti soldi, vi sono veri e propri mercati dove si scambiano informazioni”.
Che spazio rimane per gli aspetti deontologici ed etici della professione di giornalista?
“La regola è che quando non risulta possibile verificare l’informazione bisogna citare tutte le fonti, anche se contraddittorie. Bisogna però anche saper dire ‘non lo so’, o ‘non posso andare’. Per quel che posso dire, soltanto Mazar el Sharif era facilmente raggiungibile; laggiù provenivano notizie certe su quel che succedeva in zona. Esiste però un altro aspetto del conflitto afghano: quando per tante settimane non succede nulla, o meglio si è nell’impossibilità di raccontare alcunché di preciso e di informativo, sorge la tentazione di pagare la gente per inscenare scontri a fuoco e battaglie. Capita anche questo, purtroppo”.