editoriale" "
Il Papa, solo, fragile, disarmato, ” “riunisce le nazioni e le religioni, attorno ” “a un unico umanesimo” “
“Solo Lei Santità poteva indire un simile raduno”. Così si è espresso il rabbino Israël Singer a Assisi il 24 gennaio, quando ha preso la parola insieme ad altri esponenti delle religioni del mondo. Tale osservazione è stata condivisa da tutti non soltanto come un riconoscimento indirizzato all’ospite, il Papa Giovanni Paolo II, ma anche come l’espressione di un fatto: solo il Papa ha la capacità di parlare insieme a tutti gli uomini, di essere sentito da tutti, anche se non sempre capito. Ma almeno di essere sentito. Lui solo riesce a riunire personalità non soltanto diverse e opposte ma che, al di fuori della sua iniziativa, sarebbero nell’incapacità assoluta di uscire dall’implacabile logica del conflitto e dell’odio.
Questo non è un fatto completamente nuovo. Tutti i Papi del Novecento hanno goduto di un rispetto generale, particolarmente Pio XI e Pio XII, prima di Giovanni XXIII e Paolo VI. I mezzi di comunicazione moderni hanno accentuato il fenomeno e hanno aiutato la parola pontificia a diffondersi. La radio prima, la televisione nascente opi, hanno fatto molto per fare del Pontefice l’interlocutore privilegiato del mondo. Ma ci sono anche delle ragioni più profonde. Già nell’ormai lontano 1965, il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, U Thant, che non era cattolico, in piena guerra fredda, aveva capito che solo il Papa avrebbe potuto parlare a tutti gli uomini insieme, attraverso le rappresentanze diplomatiche degli Stati nell’Organizzazione internazionale. Così invitò Paolo VI a prendere la parola dinanzi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.
Il 4 ottobre 1965, festa di San Francesco di Assisi, apostolo della fraternità universale, il Papa che portava con sé il saluto dei Padri del Concilio, si presentò all’O.N.U. e inaugurò un metodo di apostolato inedito, capace di raggiungere attraverso la televisione (il suo viaggio fu trasmesso in mondovisione) milioni di persone di ogni religione, di ogni convinzione politica, di ogni razza. 117 Stati erano allora membri dell’O.N.U. e solo l’Albania rifiutò di essere presente. Di fronte a tutti, Paolo VI gridò come Giovanni Paolo II oggi: “Mai più la guerra ! Mai più la guerra!”. Come si spiega questa capacità a parlare a tutti, ad esercitare per il mondo intero il ministero della Parola? Al di là della personalità propria del Santo Padre, della sua popolarità, del suo senso del simbolo e della parola giusta, ci sono tre ragioni principali.
Anzitutto, la Chiesa è debole: non detiene il potere militare, né il potere economico. “Il Vaticano, quante divisioni possiede?” scherzava Stalin. Ma al contrario, questa è la sua forza, come affermava mons. Rossano: una forza esclusivamente spirituale. Questa forza non esige nulla, eccetto la pace e il rispetto per tutti gli uomini.
La Chiesa è ricca di un’esperienza unica, che proviene dalla sua esperienza umana, dalla sua anzianità e dalla sua universalità che concorrono a darle una certa perizia: è “esperta in umanità”, come disse Paolo VI a New York. Conosce l’uomo e riesce a trarre dalla Rivelazione e dal Vangelo un’antropologia, cioè una visione dell’uomo e così può partire all’incontro degli uomini.
A nome di questa conoscenza profonda dell’umanità, la Chiesa promuove tre aspetti fondamentali dell’organizzazione della società civile: la pace, la giustizia sociale, lo sviluppo, perché la pace è inseparabile dalla giustizia politica, economica e sociale e, aggiunge Giovanni Paolo II, dal perdono: “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Così, dal 4 ottobre 1965 al 24 gennaio 2002, l’uomo in bianco, solo, fragile, immagine gracile, disarmato, ma forte della sua fede e della sua autorità spirituale e della sua forza morale, riunisce, sotto il segno di San Francesco, le nazioni e le religioni, attorno a un unico umanesimo, come messaggio per svegliare le coscienze.