editoriale" "

La fede, la cultura, i media” “” “

Non basta fare o ” “essere: la Chiesa in Europa riflette su come far sapere ai molti che non la conoscono ciò che essa è, ciò ” “che essa fa… ” “

Nella società pluralista europea la Chiesa cattolica è solamente una voce tra molte altre: come verificare l’efficacia del suo messaggio e come provare, a chi l’accusa di rimanere ancorata al passato, che le sue scelte e le sue parole rispondono ancor oggi a bisogni reali e profondi dell’uomo?
E’ la prima, ma non unica, domanda posta ai partecipanti al colloquio del Comitato episcopale europeo per i media (Ceem) in corso ad Aix en Provence sul tema “Comunicare la fede nella cultura dei media in Europa”.
Una questione iniziale è nell’espressione “comunicare la fede” che appare a molti inadeguata per esprimere un’esperienza che vede il limite incontrarsi con l’infinito, il visibile con l’invisibile. Occorre, in questa inquietudine, misurarsi con il “comunicare” normalmente inteso se si vuole stare da cristiani nella storia, suscitare domande su Dio, suggerire risposte ed aprire percorsi di ricerca attorno al mistero.
Una seconda questione è posta dall’irruzione delle nuove tecnologie che, nell’incidere su cultura e mentalità, mettono sempre più a prova quelle antiche esigendo, almeno nella realtà ecclesiale, un’armonia che consenta al messaggio di percorrere vie diverse senza perdere in contenuto, coerenza e simpatia.
La qualità del messaggio è dunque irrinunciabile ma sempre da migliorare: cresce nella Chiesa la consapevolezza che non basta “fare” e/o “essere” ma occorre “far sapere”, ben ricordando che “se dici male ciò che fai bene, lasci pensare che tu stia facendo male”.
Battute semplici per dire della complessità e della difficoltà ma anche della bellezza di comunicare un’esperienza di fede che, nel rispetto di professionalità condivise, vive il limite non come peso ma come richiamo ad un supplemento di responsabilità.
Il realismo è tuttavia d’obbligo. La Chiesa, che a volte si rammarica di non venire compresa fino in fondo, non dimentica che anche in Europa molti ignorano in tutto o in parte quello che essa è. Questi molti che non sanno – ecco un nodo del colloquio europeo – costituiscono la priorità a cui pensare in un progetto di comunicazione che pone a fondamento della sinergia tra strumenti antichi e nuovi un rapporto di stima tra le persone. Si torna così ai giornalisti ma anche a coloro che leggono i giornali, ascoltano la radio, vedono la tv, navigano in Internet …
Per i primi c’è una fiducia da consolidare ed al riguardo Lucien Guissard, una bella figura del giornalismo cattolico francese, scrive: “La parola sulla stampa ed i media, sulla deontologia e la pratica non deve essere lasciata agli universitari, ai moralisti ed ai censori. Questi hanno forse il vantaggio di vedere le cose dall’esterno e di non esporsi ad un sospetto d’indulgenza corporativa ma hanno spesso lo svantaggio di non conoscere la professione dall’interno e di ignorare le condizioni concrete di lavoro”.
Per i secondi, anche nella comunità ecclesiale, è sempre più urgente creare luoghi di formazione di una coscienza che, aperta alla sfida dei media e senza complessi di inferiorità, sappia cercare, riconoscere e proporre l’essenziale.