Editoriale" "
"Non rinunciare ad incontrarsi", un imperativo per le confessioni cristiane” “
Dal 22 aprile 2001circola in Europa un documento che sta diventando una proposta di agenda per le Chiese e uno strumento a servizio del comune impegno ecumenico. Come tutti i testi, anche la “ Charta oecumenica linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa” è sottoposta alla critica del tempo e della diversità dei lettori e dei contesti in cui viene letta. E in effetti ogni Paese e ogni Chiesa si incaglia su un punto o su un altro della Charta: l’Armenia, con la sua tragica storia, la Grecia, con le difficoltà e le speranze nel dialogo cattolico-ortodosso, l’Italia o la Polonia, paesi a maggioranza cattolica, la Danimarca di tradizione luterana e con qualche interrogativo oggi sul processo dell’unificazione europea…
Chi ha voluto e dato inizio a questo processo il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e la Conferenza delle Chiese d’Europa (KEK) sa bene che il contenuto può essere criticato, migliorato, modificato. Ma la Charta, tradotta in 29 lingue, non è semplicemente un testo, bensì uno spirito, un’idea, un “sogno”.
La consultazione ecumenica che il CCEE e la KEK hanno convocato a Ottmaring, in Germania (7-10 settembre 2002), ha cercato di fare un bilancio di questo processo nei 26 Paesi europei rappresentati all’incontro, rivelando che oggi in Europa esiste un documento di riferimento comune attorno a temi importanti per la vita delle e tra le Chiese. La Charta mette in luce ancora una volta che le divisioni nascono sì da differenze oggettive sul piano teologico ed ecclesiologico, ma ancora di più da motivi di carattere storico, culturale, psicologico. “Continuare il dialogo, non rinunciare ad incontrarsi” è il delicato imperativo espresso nella lettera che i delegati hanno scritto alle loro Chiese da Ottmaring.
Ed in effetti la Charta è già stata, in questo anno e mezzo dalla firma, la “scusa” per centinaia di incontri e di dibattiti, di momenti di preghiera e di dialoghi e di approfondimento delle relazioni personali e ufficiali tra le Chiese. Attorno alla Charta si sono incontrati i Consigli delle Chiese di diversi paesi (in Austria, ad esempio), i giovani (in Romania e in Olanda), le facoltà teologiche (in Polonia), gruppi di preghiera, le conferenze episcopali (in Croazia, ad esempio), le diocesi (in Italia), associazioni, gruppi ecumenici e movimenti… Così ha continuato a vivere lo “spirito di Graz” che aveva visto l’ecumenismo diventare una urgenza e una responsabilità vissuta da tutte le componenti del popolo di Dio.
La Charta, scandita dai dodici “noi ci impegniamo” sta cercando di coinvolgere questo popolo ad adattare e vivere il testo secondo la particolarità delle diverse realtà perché, accanto alla riflessione e al confronto, la comunione tra le Chiese cresca attraverso la vita. Per questo le Chiese in Olanda hanno firmato la Charta, l’Ungheria e la Germania si preparano a farlo, esprimendo così la loro adesione in modo più esplicito e rinnovando il loro impegno per la riconciliazione tra i cristiani, per la pace e la giustizia.
“La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, mescola il sangue con il sudore se ne rimane” canta Fossati. Così è di ogni relazione profonda, così è del cammino delle Chiese, così anche di questi fogli di “Charta” che quasi miracolosamente vivono attraverso fatiche e gioie e che chiedono, a chi osserva, la pazienza di sapere attendere che i frutti maturino.