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A un anno da un evento inaudito, l’Europa deve scegliere tra memoria del passato e immaginazione di un futuro di pace” “” “
L’11 settembre 2001 segna l’ora di un’epoca tragica di scontro tra le civiltà per il mondo? Una svolta nelle relazioni internazionali? Questo è certamente vero ma l’evento nella sua enormità è innanzitutto rappresentativo della società mondiale globale e mediatica nella quale siamo entrati e deve essere considerato nel suo contesto storico.
Questo è un nuovo “tempo di ferro” aperto nel 1914 dalla prima guerra mondiale, strage inutile e assurda, dalla quale l’umanità non riesce a uscire. Certo l’Europa dà oggi l’esempio di un continente impegnato da cinquant’anni sulla strada di un’unificazione democratica, inedita nella storia degli uomini, dove le dittature e la violenza come metodo di governo sono sparite. Ma non bisogna dimenticare che questo tempo di pace si è aperto da poco, dopo un lungo periodo di violenze, di totalitarismi, di terrorismo di Stato.
Quindi, l’Europa dovrebbe ricercare il significato dell’evento “11 settembre” nel suo passato e le risposte alla luce delle sue esperienze passate e odierne e delle sue responsabilità di fronte al mondo. Non si tratta di dare delle lezioni teoriche o di organizzare degli interventi militari bensì di offrire la forza dell’esempio e la ricerca di una vera “partnership” con il resto del mondo, in particolare con la sua parte più povera.
L’esempio è quello della volontà di alcuni uomini politici di ispirazione cristiana che qualche decennio fa hanno deciso una svolta storica, hanno detto “no” al destino tragico della guerra. È il caso esemplare del superamento dei difficili rapporti tra la Francia e la Germania che dimostra come, quando c’è la volontà, questa si rivela capace di rovesciare il monte dell’eredità della storia, a volte tragica, e di costruire realmente un avvenire nuovo. Non si insisterà mai sufficientemente sull’attualità di questa esperienza di due Paesi europei.
Per “partnership” si intende la capacità di ricercare un accordo con i popoli, delle soluzioni a tanti problemi che sembrano eterni, senza soluzioni in vista. Lo scandalo sta nella apparente durata senza fine dei problemi, delle crisi, le cui soluzioni esigerebbero interventi forti e determinati: 54 anni di guerra senza sosta nel Medio Oriente, decenni di guerre civili, di fame, di malattie, problemi di rovina ambientale. Tali crisi quasi permanenti sono altrettanti terreni fertili per lo sviluppo di diversi integralismi più o meno aggressivi. I rancori, le umiliazioni, le paure, sono le zone più efficaci per il reclutamento di tanti estremisti e disperati che costituiscono l’esercito dei terrorismi.
Più che mai, alla volontà politica si dovrebbe unire un po’ di immaginazione generosa, un soffio, per dare luce a un futuro che sembra camminare verso il buio. Il grande giurista francese del Settecento Montesquieu diceva che “il presente del passato è la memoria”, ma “il presente del futuro è l’immaginazione”. L’Europa, ad un anno da un evento inaudito e a 63 dalla seconda guerra mondiale sta al bivio tra la memoria del passato e l’immaginazione indispensabile per costruire con il resto del mondo la sicurezza a tutti i livelli.