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Timothy McVeigh, 33 anni, autore dell’attentato di Oklaoma City, che il 19 aprile del 1995 aveva causato 168 morti, è stata la 716° vittima americana dell’esecuzione capitale. Ad occuparsene è “Le Monde”, che apre con questa notizia l’edizione del 12/6, alla vigilia del viaggio di Bush in Europa e delle manifestazioni di protesta contro la pena di morte, previste proprio a Parigi (prima tappa del “tour” del presidente americano).
“Paradossalmente – si legge sul quotidiano francese – la sua esecuzione, per la forte mediatizzazione che ha trascinato con sé, ha rilanciato il dibattito sulla pena capitale, sempre più contestata anche negli Stati Uniti. Nove ex ambasciatori americani hanno scritto alla Corte suprema, l’8 giugno scorso, per fermare l’esecuzione degli handicappati mentali, ritenendo che la pena di morte nuoccia gravemente all’immagine degli Stati Uniti nel mondo”. Oltre alla cronaca nelle pagine interne, ad un approfondimento delle richieste degli ambasciatori americani e alla testimonianza di una giornalista texana, che a 25 anni ha già “coperto” tra le quaranta e le cinquanta esecuzioni, “Le Monde” informa che l’associazione francese “Insieme contro la pena di morte” organizza il primo congresso mondiale contro la pena capitale, che si terrà dal 21 al 23 giugno a Strasburgo. “Un appello solenne per una moratoria delle esecuzioni – informa il quotidiano francese a proposito dell’evento – dovrebbe essere lanciato dalla tribuna del Parlamento europeo, alla presenza dei presidenti dei Parlamenti dei diversi paesi, delle organizzazioni non governative della difesa dei diritti dell’uomo e dei rappresentanti delle vittima”; il Consiglio d’Europa ospiterà un colloquio sul tema “Condizioni ed ostacoli all’abolizione universale”, mentre una marcia silenziosa si svolgerà il 22 giugno.
Suzanne Daley del New York Times, (International Herald Tribune, 12/6), sottolinea che “l’uso americano della pena capitale mette l’America in contrasto con tutti i suoi alleati europei, che hanno tutti o abolito o sospeso la pena di morte”: gli europei, in particolare, si chiedono apertamente “perché una nazione così avanzata come gli Stati Uniti continui in una pratica che essi considerano arcaica e barbara”. In prima pagina, l'”International Herald Tribune” riporta il commento del presidente americano, George Bush, alla 33ª “iniezione letale” praticata negli Usa dall’inizio di quest’anno: “Alle vittime dell’attentato di Oklaoma City non è stata data vendetta, ma giustizia”. Il “Sunday Times” (10/6) si sofferma sulle ultime parole di Timothy Mc Veigh, affidate alla citazione di un poema inglese del diciannovesimo secolo, i cui versi finali suonano: “Sono il padrone del mio destino, sono il capitano della mia anima”. L’epitaffio del killer, insomma, sembra in linea con il personaggio, che – ricorda Tony Allen-Mills, autore dell’articolo pubblicato dal quotidiano inglese – “ha rifiutato due volte gli appelli legali che avrebbero potuto prolungare la sua vita e non è ricorso all’opzione di fare appello di clemenza al presidente Bush (…). Mc Veigh non ha dato alcun cenno di difesa o pentimento. Ha di recente parlato dei ragazzi che ha ucciso come di ‘effetti collaterali'”.

Il “no” dell’Irlanda al Trattato di Nizza suscita una serie di riflessioni sulle conseguenze che tale decisione può avere sull’attuale scenario europeo. “Nel referendum di venerdì – scrive Barry James su “International Herald Tribune” (11/6)- gli irlandesi hanno rifiutato l’allargamento dell’Unione europea, mandando un formidabile messaggio negativo alla comunità. Ma i vertici ufficiali dell’Unione europea hanno promesso di impedire che il voto comporti ritardi significativi nel piano di allargamento dell’Unione europea ad est”. “Per la prima volta nella sua storia – scrive Alexandrine Boulibet su “Le Figaro” (9/6) – l’Irlanda ha rifiutato di ratificare un trattato europeo”. Questo perché, spiega l’articolista, “l’Irlanda, piccolo paese, teme di perdere il suo diritto di veto in un’Europa allargata, diretta dalla Germania e dalla Francia. A più lungo termine, questo paese che beneficia di uno dei carichi fiscali più bassi dell’Unione, teme l’unificazione fiscale auspicata in queste ultime settimane da Lionel Jospin e Gerard Schroeder”. “Con la sconfitta nel referendum – commenta Ramon Lobo su “El Pais” (10/6) per i sostenitori del ‘sì si impone riflessione ed umiltà, valori assenti durante la campagna in favore della ratifica del Trattato di Nizza dell’Unione europea, i cui sostenitori in questo paese – governo, quasi tutto l’arco parlamentare, la Chiesa cattolica, le imprese e i sindacati – hanno subito una insospettata sconfitta”.