Questioni aperte nel delicato campo della bioetica. Il dibattito sui due poli dell’esistenza umana, dalla manipolazione degli embrioni alla “dolce morte” trovano ampio risalto sul settimanale tedesco “ Der Spiegel” (n. 21 del 21/5).
Si parte da un’intervista al Cancelliere Gerhard Schroeder, una sorta di corollario alle recenti dichiarazioni del presidente federale Johannes Rau rilasciate a Berlino il 18 maggio scorso. “ La dignità dell’uomo rappresenta il limite ultimo, un limite intangibile. Per questo – spiega Schroeder – non c’è alcun dubbio che la difesa dell’embrione è moralmente necessaria” ma, aggiunge, “non si possono dimenticare quei malati gravi che nutrono aspettative dalla ricerca scientifica e che le biotecnologie costituiscono una fonte di occupazione e di benessere da trasmettere alle generazioni successive“. Se è vero infatti che più di un quinto delle imprese biotech europee hanno sede in Germania, ricorda il Cancelliere “ abbiamo allora a che fare con un comparto di punta dell’economia tedesca“. In sostanza cautela, ma non una totale chiusura verso il biotech allorché “ entrino in scena ricadute socio-economiche della ricerca“.
Più diversificato invece il panorama all’interno dei Cristiano-Democratici (Cdu) sull’altra questione della liceità della diagnostica “preimplantativa”. Il discrimine è sempre il momento in cui porre l’incipit della persona umana. Ai poli opposti della discussione Hubert Hueppe, dipinto “ anche all’interno del suo partito come un fondamentalista“, che parla di “ intangibilità della persona umana fin dal momento del concepimento” e il teologo evangelico Peter Hintze secondo il quale “ seguendo la Costituzione si può parlare di “dignità umana solo a partire dal quattordicesimo giorno di sviluppo dell’embrione nell’utero“.
La trattazione invece del tema dell’eutanasia trova ampio spazio nella sezione esteri del settimanale, con un lungo articolo di Erich Wiedermann intitolato “ Libera morte per liberi cittadini“. In primo piano, ricca di contraddizioni, talvolta grottesche, la figura di Jan Hilarius, presidente dell’associazione “De Einder” (l’orizzonte), che “ per mestiere aiuta la gente a morire, mentre nel tempo libero si dedica di preferenza all’attività poetica“. La maggior parte degli olandesi ritiene, a parere di Wiedermann, che “ lo Stato non abbia il diritto di immischiarsi in questioni così intime“. Emblematico è peraltro il caso del medico Wilfried van Oijen, condannato a una sanzione pecuniaria per aver dichiarato “ morte naturale” il caso di una paziente “ cui aveva invece somministrato una dose eccessiva di barbiturici“.
Dall’inizio dello scorso autunno, com’è noto, l’aiuto a morire è stato legalizzato. Contro questa legge si sono schierati in parlamento, con i cattolici, anche i socialisti. Secondo il settimanale liberal di sinistra “ Vrij Nederland“, “ la nazione dei Paesi Bassi getta fuori bordo una delle sue più grandi conquiste, cioè l’imperativo della protezione della vita umana. La nave dello Stato naviga da ora in acque sconosciute…“. Prossimo argomento sul tappeto la cosiddetta “Pillola della morte” e, in seguito, se “ nell’interesse comune, si debba morire in maniera socialmente sostenibile“. Il favore dell’opinione pubblica per l’aiuto alla morte è addirittura così “ diffuso che oggi quei medici che non lo praticano si trovano con le spalle al muro“. L’unica voce di dissenso è quella del clero ufficiale, che segue, a parere di Wiedermann , “una rigida linea di condotta“; per la Conferenza episcopale olandese l’aiuto a morire è “ una violazione della nostra cultura“; altri esponenti di chiese riformate tengono però un atteggiamento del tutto diverso.