La “Dichiarazione comune”
di Giovanni Paolo II
e Christodoulos
La condanna di ogni fanatismo religioso, una maggiore attenzione ai temi della vita, l’angoscia per le guerre ed i massacri in corso nel mondo, soddisfazione per il cammino dell’Unità europea ma anche preoccupazione per il mancato riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa, sono i punti cardine della “Dichiarazione comune” di Giovanni Paolo II e di Christodoulos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, letta il 4 maggio 2001 all’Areopago di Atene, dal bema (podio) di San Paolo apostolo. Una tappa fondamentale del viaggio papale in terra greca che ha ridato vigore al dialogo tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa.
“Condanniamo si legge nella Dichiarazione – ogni ricorso alla violenza, al proselitismo, al fanatismo in nome della religione. Noi crediamo fermamente che le relazioni fra i cristiani debbano essere caratterizzate dall’onestà, dalla prudenza e dalla conoscenza dei problemi in questione”.
“Osserviamo scrivono il papa ed il metropolita – che l’evoluzione sociale e scientifica dell’uomo non è stata accompagnata da una più approfondita indagine del significato e del valore della vita, né da un analogo apprezzamento della dignità unica dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza del Creatore. Inoltre, lo sviluppo economico e tecnologico non appartiene in misura uguale a tutta l’umanità, ma è dato soltanto ad una piccolissima porzione di essa. Siamo chiamati a operare insieme affinché prevalga la giustizia, sia dato sollievo a quanti sono nel bisogno e siano prestate premurose attenzioni a quanti soffrono”.
A questa preoccupazione si aggiunge l’angoscia “nel vedere che guerre, massacri, torture e martirio costituiscono per milioni di nostri fratelli una terribile realtà quotidiana e ci impegniamo ad agire affinché prevalga ovunque la pace, sia rispettata la vita e la dignità dell’uomo e vi sia solidarietà nei confronti di quanti sono nel bisogno”. Ed il disagio nei confronti della globalizzazione: “è nostro auspicio che essa porti buoni frutti. Tuttavia, desideriamo sottolineare che vi saranno conseguenze perniciose se essa non avrà ciò che si potrebbe definire la ‘globalizzazione della fratellanza’ in Cristo, in piena sincerità ed efficacia”.
Infine un riferimento all’Unione europea che è anche un impegno: “ci rallegriamo del successo e del progresso dell’Unione Europea. La tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati senza alcun riferimento alla religione costituisce un regresso e una negazione della loro eredità spirituale. Siamo chiamati ad intensificare i nostri sforzi affinché l’unificazione dell’Europa giunga a compimento. Sarà nostro compito fare il possibile, perché siano conservate inviolate le radici e l’anima cristiana dell’Europa”.