TERRITORIO – ” “Colloquio europeo delle parrocchie” “” “

Chiese locali e territorio
“La parrocchia è uno sguardo attento al territorio in cui vive. E’ chiesa incarnata vicina ai problemi concreti della gente. Per questo, la prima solidarietà in Europa si gioca in parrocchia”. A presentare il tema del prossimo Colloquio europeo delle parrocchie – che si terrà a Gerona (Spagna) dal 7 al 13 luglio su “Solidarietà in Europa. La dimensione sociale della fede nelle comunità cristiane” – è don Claudio Como, delegato per l’Italia del Cep (Colloquio europeo delle parrocchie). Nato da un gruppo di parroci negli anni ’60, il Cep si sforza di collaborare alla costruzione di una “nuova società europea” e di promuovere a tal fine il contributo dei cristiani. Al Cep fanno parte 12 Paesi europei, tra cui Belgio, Germania, Francia, Italia, Austria, Svizzera e Spagna. Così i parroci scrivevano nel 1961: “in un’Europa che si organizza piano piano come comunità, i nostri problemi umani e parrocchiali sono simili; una pastorale nazionale isolata si rivela improduttiva”. Si cominciò così a promuovere ogni due anni incontri a livello europeo, per “scambiare esperienze, idee e collaborare così alla costruzione di una comunità europea dei popoli”. Dal 1973, iniziarono a partecipare ai colloqui anche i laici che nel 1993 raggiungono quasi i due terzi dell’assemblea. I colloqui affrontano in genere temi di particolare attualità: nel 1999, per esempio, le parrocchie europee si sono confrontate con la multiculturalità. Il prossimo appuntamento del 2003 si terrà invece in Svizzera.

La “tendenza” a mettere Dio da una parte
Il più grande evento recente – ovvero che Dio è morto e che la fede nel Dio cristiano è divenuta non credibile – comincia e proiettare le sue prime ombre sull’Europa“. Da questa celebre affermazione di Nietzsche, parte la riflessione che per la delegazione italiana del Cep ha redatto don Luciano Padovese in vista e in preparazione al Colloquio europeo di Gerona. “L’ombra” intravista dal filosofo tedesco è il “crollo di tutto ciò che sulla fede era fondato”, il rifiuto di tutti i concetti universali e l’abbandono di “fondamenti e riferimenti forti”. “Anche il Cristianesimo – prosegue don Padovese – ha perso molto della sua sensibilità per la sofferenza; della capacità cioè di lasciarsi inquietare dal bisogno di giustizia che sale come un grido da parte di quanti soffrono da innocenti”. “Nessuna meraviglia quindi – aggiunge Padovese – che anche negli ultimi decenni nell’Europa ‘cristiana’ siano stati compiuti crimini tra i più tragici della sua storia”. E non sorprende neanche se questa Europa sia “ancora attraversata da una sempre rinfocolata ostilità verso gli stranieri e percorsa da fremiti di acceso neorazzismo” e pur parlando molto di multiculturalità, “si rimane lontanissimi da un concetto di convivialità”.

La credibilità dei cristiani si gioca sulla solidarietà
“Eppure – commenta Padovese – nel dna del vecchio Continente c’è il cristianesimo con la sua radicale dimensione solidaristica”. Il problema è che questa “anima” non “può ridursi a una memoria storia; va vissuta oggi” con “passione” e tradotta in solidarietà. “Come dire – precisa Padovese – che non si è credibili in niente se non si testimonia una maggiore giustizia sociale e un’apertura totale verso gli uomini; anche i più diversi”. Il teologo indica nella sua riflessione alcuni criteri e linee operative per “un’autentica prassi cristiana in Europa”. Il primo criterio è la “ concretezza“: “Non si può procedere per astrattezze disincarnate”. L’attenzione al sociale è ambito irrinunciabile di evangelizzazione. Il secondo criterio di comportamento è l’ “ affettività“, il coinvolgimento cioè “con le persone, con i problemi veri della gente” per far capire che “il cristianesimo è accoglienza di tutto ciò che è umano”. E infine la “ testimonianza“, “amando le persone prime che i valori. Come Gesù che si fa compagno di viaggio con i due di Emmaus”.