“Clonazione: fino a che punto?” (La Croix, 27/11/2001), “I pro-life premono per porre fine agli esperimenti distruttivi condotti su embrioni umani” (Catholic Herald, 23/11/2001), “I primi frutti della clonazione umana chiamano in causa il suo uso terapeutico” (Le Monde, 28/11/2001), “Clonati embrioni da cellule umane” (Herald Tribune, 26/11/2001), “La clonazione di embrioni umani suscita rifiuto in tutto il mondo” (La Vanguardia, 27/11/2001), “Il momento delle decisioni” (El Pais, 27/11/2001), “Nel successo si insinua il pericolo” ( Frankfurter Allgemeine Zeitung, 27/11/2001). L’annuncio choc dei ricercatori dell’Advanced Cell Technology di Worcester, Massachusetts (Usa), “abbiamo creato un embrione umano”, ha riportato la clonazione su tutte le prime pagine dei quotidiani con conseguenti prese di posizione a favore o contro la sperimentazione.
Uno stop alla clonazione arriva da Bruno Frappat che su La Croix scrive: “per rendere possibile la creazione di embrioni come pezzi di ricambio umani che permettono di curare le malattie bisognerebbe essere crudeli”. Come dire che “la nobiltà di un obiettivo non deve mai far dimenticare gli effetti perversi di ogni progresso”. Una posizione condivisa anche da Elisabeth Guigou, ministro per l’impiego e la solidarietà francese che in un’intervista a Le Monde giudica “inopportuna la legalizzazione della clonazione”. Smorza i toni della scoperta, invece, l’ Herald Tribune, che riportando un editoriale del “The New York Times” scrive che si tratta “solo di un piccolo passo verso la clonazione terapeutica” aggiungendo che l’esperimento “più che un successo è un fallimento”. Tuttavia non manca di notare che “sarebbe distruttivo per il progresso medico bandire la clonazione terapeutica che potrebbe essere la chiave per superare il problema del rigetto, da parte di pazienti, di cellule derivate da tessuti di altre persone”. “ Nel successo si insinua il pericolo” è il commento siglato G. H. comparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 27/11/2001. “La clonazione di uomini – si legge – altro non è che una produzione funzionale della vita umana” e “la promessa di guarigione che si cela dietro la ricerca del cosiddetto clone terapeutico non è pericolosa dal punto di vista etico e sociale perché tanto non può condurre al successo, ma piuttosto perché un successo metterebbe in forse tutto quello che abbiamo sviluppato nei secoli come unità di misura della dignità umana”. Si legge ancora, a proposito delle divergenze di opinione tra la comunità scientifica tedesca e la classe politica sull’uso degli embrioni: “Non c’è più un’etica comune tra tutti i ricercatori e tra i cittadini; comune è soltanto l’assoggettamento alla Costituzione e alla legge. Forse questo lo si noterà ancora anche negli Stati Uniti”. Nella parte dedicata alla scienza trova spazio l’intervista al filosofo Peter Singer, docente di etica all’Università di Princeton, realizzata da Gerald Traufetter e Johan Grolle, dal titolo “Non tutta la vita è sacra”, in cui Singer afferma: “La mia proposta sarebbe quella di far valere il diritto alla vita soltanto 28 giorni dopo la nascita” ma ammette di “poter capire quegli uomini che si sentono minacciati dalla mie tesi”.
Sui giornali spazio anche alla crisi afghana. Sullo Spiegel (26/11/2001) la prima di quattro puntate di un’inchiesta sugli autori degli attentati americani. L’inchiesta di questa settimana, che ricostruisce nel dettaglio “ la traccia tedesca” dei terroristi è intitolata “I guerrieri di Pearl Harburg” , titolo che gioca sul nome Hamburg (Amburgo), città da dove sono partiti alcuni dei terroristi. “ Si sono formati in Afghanistan afferma lo Spiegel – finanziati dagli Emirati, si sono preparati ad Amburgo. Mentre si preparavano ad andare in America, i piloti terroristi hanno lasciato dietro di loro numerosi indizi.” Al futuro dell’Afghanistan e alle aspettative suscitate dalla Conferenza di Bonn dell’ONU di questi giorni è invece affidato l’articolo in prima pagina sulla FAZ ( 26/11/2001). “ Tempi antichi e cattivi“, afferma la FAZ, quali sono quelli “in cui minaccia di ricadere l’Afghanistan” sotto l’influenza degli Stati di confine e dei partecipanti al conflitto. Viene avanzato il dubbio che le varie parti convenute a Bonn effettivamente “ nutrano aspettative che si avvicinano alla speranza di un’unificazione“. Sembra piuttosto che “ognuno voglia solo guadagnare per sé tutto il potere possibile“.