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Non basta dare ” ” un lavoro, bisogna ” “valutarne la qualità, affermano” “don Mayence e ” “don Tarchi ” “del "Gruppo europeo ” “di pastorale operaia"” “” “
Lavoro a tempo determinato, mancanza di tutele, lavoro nero, precarietà e incertezze che alimentano frustrazioni e difficoltà a progettare il futuro: questi alcuni dei tratti che accomunano i giovani europei, secondo quanto emerso dall’incontro “I giovani, il lavoro e l’impiego. Questioni per una pastorale operaia europea” che si è svolto dal 22 al 24 novembre a Bruxelles per iniziativa del Gepo (Gruppo europeo di pastorale operaia), un coordinamento che riunisce le pastorali del lavoro dei diversi Paesi europei (vedi scheda). Abbiamo rivolto alcune domande a don Etienne Mayence , coordinatore del Gepo, prete diocesano che lavora nella pastorale operaia di Tournay. “Il Gepo non crea impiego per i giovani spiega Mayence – ma è un luogo di scambio e di condivisione delle idee e delle iniziative. Al termine inviamo le nostre conclusioni ai diversi organismi che riuniscono le Chiese e gli episcopati europei”.
Quali problemi lavorativi accomunano i giovani d’Europa?
“La situazione lavorativa dei giovani è molto grave. Quando si scambiano esperienze ci si rende conto che le condizioni di lavoro sono simili, con qualche sfumatura. Siamo in un mondo globalizzato e si ritrovano ovunque gli stessi meccanismi: la concentrazione delle ricchezze, l’aumento della povertà, dell’esclusione, le minacce alla sicurezza sociale, la volontà di privatizzare…Le conseguenze sono le stesse, anche se a livelli diversi, perché alcuni Paesi hanno garanzie sociali più forti, altri meno. Se oggi un giovane riesce ad ottenere un contratto di lavoro per 6 mesi è già molto, ma con un contratto di questo tipo non si può costruire un futuro”.
Le politiche per l’occupazione giovanile dell’Unione europea hanno sortito degli effetti positivi?
“Ci sono stati sicuramente degli effetti positivi, ma queste politiche non garantiscono un impiego a lungo termine e sicuro. Spesso si tratta di lavori atipici e temporanei che lasciano problemi di futuro e di speranza. Auspichiamo che l’Europa sociale si costruisca in maniera più forte e decisa dell’Europa economica, per mettere in atto una sicurezza sociale comune. Solo in questo modo potremo dare speranze ai giovani perché le disuguaglianze non aumentino”.
All’incontro di Bruxelles era presente anche don Paolo Tarchi , direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale italiana.
Quali impegni per la pastorale del lavoro in Europa?
“Nell’evoluzione post-fordista, senza la grande azienda e con la frantumazione del lavoro, la persona è sempre meno rappresentata e aumenta la precarietà. La Chiesa non può evitare queste domande. Con l’arrivo dell’euro e in un contesto di globalizzazione, in Europa i problemi sono simili e questo fa emergere la necessità di un’azione comune. Bisogna farsi carico dei problemi del lavoro perché altrimenti si rischia l’imbarbarimento dei rapporti: saltano i contratti, si riduce il tempo libero, peggiorano le condizioni di lavoro. In questo contesto tutti i tentativi che mettono in rete persone e iniziative pastorali sono una benedizione, perché aiutano ad individuare strategie al servizio degli individui e delle famiglie”.
Ormai anche in quest’ambito è necessario “pensare europeo”?
“E’ una prospettiva inevitabile. Come in passato avevamo le regioni ora gli Stati nazionali diventano il nuovo livello regionale. C’è una grossa effervescenza di politiche europee sul lavoro ma bisogna stare molto attenti: il libro bianco sul lavoro pubblicato di recente dice che nel prossimo quinquennio bisognerà aumentare l’occupazione del 70%. Ma a quali condizioni? C’è il rischio che l’aumento di occupazione impoverisca la vita e ne abbassi la qualità. Non basta dare un lavoro, bisogna valutarne la qualità: il rispetto della dignità della persona, della salute, la possibilità di fruire delle ferie, del tempo libero, ecc”.
P.C.