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Non siamo più i "maccheroni"” “

” “18 novembre, Giornata delle migrazioni:” “una testimonianza ” “sugli italiani in Belgio ” “” “


“All’inizio eravamo solo ‘gli sporchi maccheroni’. Ora invece, dopo oltre 50 anni di presenza, i maccheroni li mangiano i belgi, perché consumano più pasta degli italiani”. Don Giambattista Bettoni, delegato nazionale per le missioni italiane in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, riassume così, con una battuta, il senso di un inserimento sociale avvenuto tra grandi difficoltà e forse non ancora del tutto compiuto se è vero, come sostiene, che “l’integrazione è in continuo mutamento. Se siamo migranti non dobbiamo mai sederci”.

Le missioni cattoliche. Gli italiani in Belgio, ormai giunti alla terza e quarta generazione, sono 287.000 (è la prima comunità in Belgio e al quarto posto in Europa tra i Paesi con la più numerosa presenza di emigrati italiani), di cui il 67,3% provengono dalle regioni meridionali (fonte: Dossier statistico immigrazione 2001). Se prima lavoravano soprattutto nelle miniere, ora gli italiani sono impiegati nelle acciaierie, nelle piccole e grandi industrie, nell’edilizia, nella ristorazione e hanno salito alcuni gradini della scala sociale. I sacerdoti italiani che si prendono cura dei loro connazionali attraverso le missioni cattoliche ad personam sono 14, la maggioranza non dispone di proprie strutture, per questo si fa riferimento alle parrocchie belghe. Cappella, asilo biculturale e sala “per fare feste tra italiani” sono solo in Vallonia e nelle Fiandre. La partecipazione alla vita ecclesiale (la scelta se inserirsi in una missione italiana o in parrocchia belga è libera) si adegua alle medie del contesto in cui si vive: non più del 3%, “ma le nostre comunità sono più vivaci – puntualizza don Bettoni, 25 anni di sacerdozio, di cui 19 passati in emigrazione – alle messe vengono anche 70/80 persone. E in ogni quartiere abbiamo dei gruppi locali che si incontrano settimanalmente per la lettura della Bibbia”.

In dialogo con la Chiesa locale. Il dialogo e la collaborazione con la Chiesa locale è migliorato con il tempo e oggi le comunità italiane partecipano alle iniziative di solidarietà proposte dalla diocesi (ad esempio a Natale e in Quaresima), i sacerdoti italiani fanno parte del Consiglio presbiterale e alcuni laici dei vari Consigli pastorali. Si lavora inoltre a stretto contatto con la Pro Migrantibus, la commissione episcopale che si occupa della pastorale migratoria. “In alcune situazioni ci sentiamo ascoltati dalla Chiesa belga – confida don Bettoni – in altre un po’ meno. Comunque si stanno facendo dei passi in avanti”. Ma è soprattutto attraverso i sacramenti che avviene l’incontro: i matrimoni, le catechesi per comunioni e cresime, spesso si svolgono nelle parrocchie belghe. “Sono le prime scintille per il dialogo – spiega don Bettoni -. La vera collaborazione deve avvenire tra gruppi, non a livello individuale. E’ un equilibrio difficile da trovare e da mantenere: consiste nel vivere la fede secondo lo specifico della propria cultura ma senza chiudersi, perché altrimenti si perdono le ricchezze reciproche. Con la Chiesa belga è stato abbastanza facile perché ha già in sé una realtà pluriculturale, ossia le componenti fiamminga e vallone”. La “tentazione della chiusura” è infatti viva anche tra gli italiani, che rischiano di dimenticare i pregiudizi subìti durante le prime emigrazioni: “Oggi gli italiani sono i ‘più bravi’ tra gli immigrati. Gli ultimi arrivati, in questo caso gli albanesi e i turchi, sono ora i ‘più stranieri’, quelli che provocano problemi. La storia insegna che agli inizi di un incontro nascono i pregiudizi, ma poi con il tempo e la conoscenza si superano”. E con il succedersi delle generazioni anche il senso dell’appartenenza italiana rischia l’oblìo: “L’italiano in Belgio si trova bene, però non è né belga né italiano. Il guaio è perdere la ricchezza che gli deriva dalle sue origini. Un figlio che non ha più la cultura italiana non ha guadagnato nulla. Però ultimamente qualcuno comincia a chiedersi da dove viene, studia la lingua e torna in Italia per riscoprire le proprie radici”.
Patrizia Caiffa