editoriale" "
Quando si entra in una chiesa cattolica ” “a Beirut, a Damasco oppure al Cairo ” “per assistere alla Messa in arabo si sente invocare sempre ” “lo stesso ” “nome di "Allah"…” “” “
Nell’attuale delicato passaggio della situazione politica mondiale non c’è altra via che il dialogo interreligioso. Bisogna rifiutare decisamente ogni tentazione dello “scontro tra civiltà”. Per poter intraprendere un dialogo veramente fruttuoso è necessario sgomberare il campo da residuali concezioni ottocentesche.
Basti pensare, soprattutto, ai seguenti esempi. In primo luogo, non ha senso usare la parola “Allah” quando si parla di Dio in un contesto islamico. “Allah” è semplicemente l’espressione araba per il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe – il Dio che adorano Ebrei, Cristiani e Musulmani. Quando si entra in una chiesa cattolica a Beirut, a Damasco oppure al Cairo per assistere alla celebrazione della Santa Messa in arabo, si sente invocare sempre lo stesso nome di “Allah”…
In secondo luogo, il cristiano potrebbe forse recitare il 90 per cento dei versetti del Corano senza tradire la propria fede. Il restante 10 per cento però riguarda il cuore della fede: per i cristiani Dio si è fatto uomo, “uno di noi” fino alla tragica condizione di morte superandola nella Risurrezione; Dio è trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo); Dio è colui che opera la redenzione sulla croce dove abbraccia l’intera umanità. Per i Musulmani, invece, Dio è il grande “solitario”: non accettano né la vita trinitaria né l’incarnazione né la redenzione. E’ questo il grande divario tra le due fedi. Bisogna accettare queste differenze nel rispetto reciproco.
Tuttavia, l’Islam non è cosi “lontano” come lo ha immaginato la cultura ottocentesca. Nella felice definizione di un saggista tedesco l’apparizione dell’Islam nel mondo mediterraneo nel settimo secolo non ha prodotto altro che una sottile e itinerante linea di demarcazione che non ha impedito lo scambio di merci e di idee. Basti pensare al fatto che anche le università europee nel Medio Evo dovevano il loro emergere alla necessità di misurarsi con gli interrogativi dell’Islam. Nell’occidente si è dimenticato il fatto che gran parte della “terra d’Islam” (Siria, Egitto, Asia Minore, Africa settentrionale ecc.) una volta costituiva il cuore della cristianità dove tutto è cominciato: la teologia, la liturgia, la spiritualità, l’arte cristiana…
E’ necessario battersi per i diritti e per l’accoglienza dei Musulmani in Europa. Ma è altrettanto necessario difendere i Cristiani rimasti in “terra d’Islam”, i loro diritti e la loro sopravvivenza, compreso il diritto per tutti di convertirsi al Cristianesimo.
Sono diversi i musulmani oggi – anche tra i “dottori della legge” – ad accettare che i versetti del Corano e i dettami della legge coranica siano interpretati nell’ottica dei condizionamenti del tempo (per esempio della lotta tra la Mecca e Medina). Non ha senso dunque rispolverare dei versetti isolati per accusare i musulmani di progettare la “guerra santa”.
In conclusione, tutti i credenti nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe hanno il dovere di vivere concretamente il doppio comandamento: amare Dio con tutte le forze e il prossimo come se stessi. “Amare il prossimo come se stessi” significa, anzitutto, difendere l’universalità dei diritti dell’uomo. Ad essa non è possibile derogare in nome di alcuna tradizione religiosa o culturale.