Per prevenire ” “i conflitti occorre potenziare l’azione dell’Onu, sostiene ” “il direttore ” “aggiunto dell’Undp” “” “” “
Povertà e aiuti pubblici allo sviluppo, Islam e rispetto dei diritti umani, conflitti armati e ruolo delle Nazioni Unite. Ne parliamo con Jean Fabre, direttore aggiunto dell’Undp (il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), ufficio di Ginevra, per capire cosa c’è dietro gli attacchi terroristici in Usa e la risposta di fuoco degli americani in Afghanistan. Ma soprattutto, aggiunge Fabre, “per non dimenticare tutte le vittime delle situazioni di ingiustizia che fanno sì che ogni tre secondi un bambino muore di povertà”. Perché “se si vuole risolvere i problemi bisogna andare alla radice: i conflitti hanno sempre una causa politica e sociale”.
Ma si fa ancora troppo poco. Anche in Europa. “Pochi Paesi dice il rappresentante dell’Undp – hanno raggiunto il livello che è stato stabilito all’assemblea generale dell’Onu negli aiuti pubblici allo sviluppo. In testa, unici al mondo a contribuire con più dello 0,4% della propria ricchezza, sono Danimarca, Norvegia, Svezia e Olanda. Gli altri sono molto indietro, anche l’Italia. Noi pensiamo che il cammino della pace è fatto anche da questo tipo di impegno. La maggior parte dei conflitti in atto oggi nel mondo sono ‘implosioni’ all’interno dei Paesi, dovute a problemi interni, sociali”.
Su questa convinzione opera il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. “E’ l’unico programma universale aggiunge Fabre – di aiuto a tutti i paesi in via di sviluppo in qualunque momento. Siamo presenti dappertutto, tutto l’anno e da tantissimi anni. Anche in Paesi come l’Afghanistan che sono stati travolti da anni da guerre di occupazione o guerre interne”. Era presente anche durante il regime dei talebani. “Il caso dell’Afghanistan è particolarmente grave perché il 70% della popolazione vive in uno stato cronico di malnutrizione e più della metà è analfabeta. E’ una situazione in cui è difficile operare e che dimostra la necessità di un impegno forte per lo sviluppo. Ma siamo presenti anche in Sierra Leone, Angola, Mozambico e altri Paesi con forti tensioni interne, accanto alla gente che soffre”.
“La carta dei diritti umani sottolinea Fabre – è il nostro riferimento di base. Noi aiutiamo il Paese a riflettere su come tradurre questa Carta in politiche, istituzioni e libertà fondamentali per le persone. A differenza di certe istituzioni che arrivano con la prescrizione già fatta, l’Undp fa più il lavoro della levatrice: aiutiamo il Paese a far nascere il proprio sistema”. E’ un lavoro di “consigli, dialogo, di costruzione di capacità, in modi diversi. Poi spetta alle comunità camminare”. “Più della metà dei nostri apporti – spiega Fabre – è impiegato per migliorare la governabilità del Paese, cioè migliorare le istituzioni, creare uno stato di diritto, aiutare i processi elettorali, il sistema della giustizia, il nascere della democrazia e di istituzioni che consentono di aiutare lo sviluppo come la Camera di commercio, ad esempio. Altri interventi sono indirizzati direttamente alle politiche di lotta alla povertà, al rafforzamento delle capacità degli enti locali e anche di appoggio diretto alla società civile. Un’altra serie di azioni riguarda l’ambiente e l’energia, la lotta contro l’Aids, la prevenzione dei conflitti o delle catastrofi naturali, l’uscita dalle crisi, ovvero la gestione dell’emergenza e poi lo sviluppo normale. Tutti campi nei quali è necessaria una presenza come la nostra, per un lavoro che un organismo non governativo non può fare”.
L’Onu quindi è ancora necessaria? Quale ruolo può avere nei conflitti armati? “E’ importante risponde Fabre – che se ne discuta anche a livello di società civile. Il problema è di capire come vadano riformate le Nazioni Unite perché abbiano maggiore capacità di intervento, non solo dopo l’esplosione del conflitto ma già nella prevenzione attraverso lo sviluppo, la promozione dei diritti umani. Se ne parla sempre quando esplode la guerra, ma non si parla di tutte le guerre evitate grazie alla presenza dell’Onu che ha fatto sì che gli Stati si parlino. Grazie all’intervento delle Nazioni Unite sono state evitate almeno un centinaio di guerre”. I problemi religiosi portano alla guerra? “Raramente osserva Fabre -, perché quando un conflitto non è stato risolto da molto tempo la religione diviene uno strumento o un contesto. Le religioni sono più spesso portatrici di pace che di conflitto”.
Maria Rita Valli¤