il conflitto
La crisi ha
accelerato la
politica estera e di difesa comune dell’Ue. L’analisi
di John Palmer
“The European Policy Centre”, Centro di studio ed analisi del processo di integrazione europea, con sede a Bruxelles, sta seguendo con attenzione la crisi internazionale seguita agli attentati terroristici negli Stati Uniti e l’offensiva militare in Afghanistan. Abbiamo intervistato John Palmer , britannico, direttore del Centro.
Le conclusioni del Consiglio Europeo straordinario del 21 Settembre scorso imprimono un’accelerazione decisiva tanto alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) quanto alla Politica europea di sicurezza e di difesa (Pesd). Sarà duratura?
“Sí, assolutamente. Del resto alcune decisioni sono già state prese. Gli enormi passi avanti di questi ultimi giorni sono ancor più evidenti se si paragona la situazione attuale alla Pesc di cinque, quattro o tre anni addietro. Addirittura a quella di pochi mesi fa. Gli sviluppi sono enormi, ai due livelli interessati: per quanto concerne la sicurezza interna, il Vertice ha focalizzato alcuni punti (cooperazione giudiziaria, mandato d’arresto europeo) di cui si parlava da anni senza che si uscisse da una condizione di stallo. Quanto alla sicurezza esterna, basti l’esempio della Macedonia: l’Ue, che ormai gestisce le operazioni di peacekeeping e democratizzazione praticamente da sola, è riuscita a stabilizzare la situazione. Nella speranza di non essere smentiti, le basi per un accordo sulle riforme costituzionali sono state poste. Certo, né Pesc né Pesd sono perfette, i passi da compiere sono ancora molti. Il Vertice di Laeken nel prossimo dicembre affronterà i temi della giustizia e della sicurezza oltre alla questione dell’antiterrorismo. Al tempo stesso, ci vuole più coraggio affinché la Pesc si concretizzi e divenga più efficace. I tempi difficili che stiamo attraversando costituiscono un test molto serio per l’unità dell’Unione”.
Quali le conseguenze della missione della Troika europea nelle capitali dei Paesi islamici?
“C’era il pericolo che gli Stati Uniti reagissero agli attentati in maniera unilaterale, senza consultare gli Alleati e senza applicare il principio di proporzionalità. Se ciò non è accaduto e se la risposta è comune è anche perché l’Unione ha contribuito massimamente a costituire una coalizione internazionale antiterrorismo che aggiunge all’aspetto militare gli aspetti, politici, giuridici, economici e sociali. La missione della Troika costituisce una piccola parte di un processo difficile che ha come obiettivo il negoziato e il dialogo con il mondo islamico. Dal canto suo, l’America sarà d’ora in poi costretta a condurre una politica mediorientale più equilibrata e ad inviare truppe per il mantenimento dell’auspicabile pace in Palestina e nei Territori occupati”.
Su quali basi si può tenere aperto il dialogo con il mondo islamico?
“Con gli attentati dell’11 settembre e con i proclami che ha pronunciato in seguito, Bin Laden ha inteso inviare un messaggio all’intero establishment islamico: un monito per i moderati ed un incitamento alle autocrazie e ai fanatici. Quale dev’essere l’atteggiamento dell’Unione Europea? Noi abbiamo molti amici arabi che lottano contro il terrorismo; combatterlo non significa però rafforzare alcuni Stati o movimenti estremamente corrotti che l’Islam purtroppo conosce. Sarebbe un errore. Non si possono tacere le violazioni dei diritti umani, da chiunque vengano commesse. Ci vogliono un mutamento di rotta dell’economia e l’apertura del dialogo”.
Quanto potrebbe durare l’offensiva in Afghanistan?
“Prevedere l’evoluzione è impossibile. Le misure militari dovranno essere limitate ai campi di addestramento dei terroristi ed alle infrastrutture dei Talebani. La difesa collettiva invocata ai sensi dell’articolo 5 del Trattato Nato si iscrive in quest’ottica. Parallelamente, è in atto un processo politico per la costituzione di un Governo di liberazione e transizione con il contributo del re afghano, attualmente in esilio a Roma, che non deve essere trascurato. E’ anche essenziale che l’Onu ottenga il mandato per indire e gestire in Afghanistan libere e democratiche elezioni”.
Gian Andrea Garancini – Bruxelles