La Corte di Cassazione francese:
gli handicappati hanno diritto ad essere risarciti se è mancata la diagnosi prenatale.
Il parere di don Marco Doldi, teologo ed esperto di bioetica
È un danno nascere handicappati ed è giusto essere risarciti. Venerdì 13 luglio i giudici della Corte di Cassazione francese hanno confermato la sentenza di un tribunale locale ed hanno definitivamente sancito il principio del danno subito da un figlio per essere nato a causa di un errore di diagnosi prenatale. Imputabile è il medico che, non accorgendosi della malformazione, non ha consigliato alla madre di ricorrere all’aborto terapeutico. (“ Le Figaro” 13/07/01). La Cassazione ha così confermato una decisione presa nel novembre scorso con la già nota sentenza Perruche. In quell’occasione i giudici avevano stabilito che Nicolas Perruche, un bambino al quale non era stata diagnosticata la malformazione prima della nascita, aveva diritto a richiedere un risarcimento. Di per sé questo era quanto speravano i genitori di Nicolas che, preoccupati per l’avvenire di loro figlio, domandavano il beneficio di un’indennità così da permettergli di condurre una vita più dignitosa. La sentenza Perruche aveva sollevato, già a suo tempo, numerose e giustificate reazioni. Il Collettivo contro l’handifobia ( “handiphobie”) denunciò una nuova discriminazione nel riconoscere per alcuni il diritto di non nascere. Nello scorso giugno il Comitato Consultivo Nazionale d’Etica (Ccne), nel documento “Handicap congenito e danno” (“Handicaps congénitaux et préjudice”), ha richiamato l’attenzione sul fatto che dall’infanzia all’età adulta gli handicappati hanno scarso accesso all’educazione, al lavoro, alle attrezzature adatte. Occorre riflettere nota il Comitato – sull’inserimento e sulla qualità di vita di queste persone e sulla necessità di permettere loro di vivere e non di sopravvivere. Appresa la nuova decisione della Corte, il Collettivo dei Democratici Handicappati (Cdh) ha denunciato la gravità del nuovo principio sancito dai giudici: è meglio essere morti che nascere handicappati.
Dove sta andando la Francia? La sentenza choc della Cassazione francese non è un fatto nuovo. A fine giugno era stato esaminato il caso di Silvie Grosmangin, una giovane donna, che incinta, era stata investita in una strada di Metz da un automobilista ubriaco nel 1995. In seguito all’incidente la donna aveva dato alla luce un figlio di sei mesi, subito deceduto a causa di gravi lesioni cerebrali che gli avevano tolto ogni capacità respiratoria. Il suo caso era giunto alla suprema Corte di Cassazione che aveva giudicato l’automobilista non reo di omicidio involontario, in quanto un feto non gode ancora della dignità di essere umano. Un bambino nel grembo della propria madre recita il verdetto non gode ancora delle protezioni accordate dal diritto penale.
Sono fatti preoccupanti e mostrano che in alcune parti del mondo occidentale è in atto un autentico sconvolgimento circa i valori morali fondamentali. Si sta imponendo una certa cultura che discrimina fortemente tra vita e vita: tra vita sana e vita handicappata, tra vita nata e vita non ancora nata. Non si è più disposti ad ascoltare la verità, in tutte le sue dimensioni, compresa quella scientifica e si giunge a soggettivismi esasperati, ora codificati anche dai principi giuridici. In base a che cosa si decide che una vita è degna di essere vissuta e un’altra non lo è? Chi prende questa decisione? Se si dimentica il valore oggettivo di ogni essere umano, quel valore che è testimoniato, in un certo modo, anche dall’embriologia – per la quale l’embrione altro non è che un uomo nella fase iniziale del suo sviluppo – si finisce per accogliere altri riferimenti che restano soggettivi.
Allora un bambino handicappato non offrirebbe elementi per definire la sua una vita di qualità, l’aborto terapeutico sarebbe un bene per il bambino, mentre lo è per la società incapace da accettare una vita malata. Questa nostra società davvero preoccupa, perché non è capace di porre la ricchezza economica, scientifica, tecnologica e di ogni genere al servizio dei più deboli, ma solo a beneficio dei più fortunati. Preoccupa la cultura che soggiace e che sta rischiando di stravolgere la stessa pratica medica: da quando il medico dovrebbe consigliare l’aborto? Non è egli il discendente e il depositario di quella tradizione ippocratica che da millenni condanna aborto ed eutanasia?
Marco Doldi