Editoriale – ” “G8: perché la Chiesa interviene” “

In vista del vertice G8, dal 20 al 22 luglio
a Genova, movimenti, associazioni,
ma anche episcopati
e gruppi di intellettuali cattolici di tutta Europa hanno preso posizione sul tema della
globalizzazione e si sono
mobilitati. Proviamo
ad esplorarne le ragioni

Il laicato cattolico sta crescendo, ed è chiamato a crescere sempre di più, proprio in forza della sua adesione al Vangelo e della sua appartenenza alla Chiesa. Troppe volte, in passato, i laici credenti sono stati soltanto i portavoce del magistero, subordinati a direttive che non si limitavano ad additare loro – come è giusto – le grandi mete, ma finivano per irreggimentarne le energie e per limitarne la creatività, negando ogni autonomia al loro impegno. Lascio agli storici di spiegare questo fenomeno, probabilmente giustificabile con le condizioni della società nel corso del millennio che si è da poco concluso. Ciò che conta, per il presente e per il futuro, è che il Concilio Vaticano II ha solennemente sancito la relativa autonomia delle realtà terrene e dei laici, in quanto specificamente competenti nella sfera temporale.
Documenti come la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes hanno sottolineato con forza che il laico, quando si tratta di questioni culturali, politiche, economiche, sociali, deve essere capace di comportarsi da adulto e di fare le sue scelte facendosi guidare – nella luce del Vangelo e nella fedeltà alla dottrina della Chiesa – dal proprio discernimento delle situazioni concrete. Ora, non c’è dubbio che la globalizzazione costituisca una di queste situazioni, che richiedono al credente una capacità di applicare i princìpi ispiratori della tradizione a una realtà nuova ed estremamente complessa. C’è solo da chiedere al Signore che incoraggi sempre di più questa autonomia di pensiero e di azione dei cristiani laici, per arricchire la sua Chiesa di una molteplicità di voci che la possono rendere effettivamente capace di rispondere alla sfida del futuro.
Non dobbiamo avere paura della diversità, purché essa non ci faccia dimenticare che le cose che ci uniscono sono assai più numerose e fondamentali di quelle che ci possono, in qualche valutazione, dividere. L’essenziale è, come dice il Concilio, mantenere aperto il dialogo sincero, in uno spirito di rispetto reciproco e di carità, sul terreno della comune ispirazione evangelica. Se questo avverrà, la sfida del G8 sarà, per la comunità cristiana, un’occasione di crescita e di servizio.
Purtroppo, però, la grande maggioranza delle persone, fuori, ma anche dentro la Chiesa, non conosce affatto il suo insegnamento sociale e ignora perfino il fatto che essa ne abbia uno. Perciò molti si ostinano a considerare il cattolicesimo come una fede religiosa del tutto neutrale rispetto ai fenomeni economici, politici, sociali, culturali, di questo mondo e la coltivano – o la vorrebbero coltivata da coloro che sono credenti – esclusivamente all’interno dei templi. Col risultato che, non appena c’è una presa di posizione della gerarchia ecclesiastica su questioni socio-politiche, la classificano immediatamente come un indebito sconfinamento, legato certamente – essi pensano – a qualche nascosto progetto di supremazia. In subordine, la sorpresa nasce dal fatto che si pensa alla Chiesa come a una istituzione fondamentalmente conservatrice.
Scoprire che essa dice delle cose che la mettono, in qualche modo, dalla parte dei contestatori del “sistema”, disorienta i benpensanti – cattolici e non – , che da centocinquant’anni a questa parte continuano a scambiare ogni forma di riserva verso il capitalismo per un indizio sicuro di comunismo, senza rendersi conto che il Vangelo è, di per sé, molto più rivoluzionario del marxismo. La domanda che si impone, però, a questo punto è: come mai è stato possibile un simile equivoco e, soprattutto, come mai esso si perpetua, dopo che una serie ininterrotta di documenti della Chiesa ha detto chiaro e tondo queste cose?
Anche qui la risposta è, purtroppo, molto semplice: pochissima gente conosce questi documenti, negli stessi ambienti cattolici non vengono inseriti in un percorso organico di formazione, e, di conseguenza, agli occhi di molti le sole questioni degne di attenzione sono quelle riguardanti l’etica sessuale, l’aborto, l’eutanasia. Problemi di grande rilievo, ma che andrebbero situati in un più ampio panorama, dove la vita venga considerata non solo nel suo nascere e nel suo tramontare, ma in tutto il suo svolgimento. Questo è, peraltro, il punto di vista dell’insegnamento sociale della Chiesa, che ha di mira il bene comune, vale a dire l’insieme delle condizioni necessarie perché la persona umana si realizzi pienamente. E oggi che il problema del bene comune si pone in termini planetari, è logico che la comunità cristiana si pronunzi sul tema della globalizzazione.
Giuseppe Savagnone