Immigrazione, legalità ” “e sviluppo

” “"L’Europa si renda conto che il problema dell’immigrazione va affrontato partendo dalla dimensione ampia delle relazioni esterne e dell’aiuto allo sviluppo", afferma Kemal Komsuoglu ” “commentando la futura politica di immigrazione approvata a Siviglia” “” “


La futura politica comune di asilo e immigrazione approvata ‘in nuce’ dal Consiglio Europeo di Siviglia. Tra la linea del “pugno duro” e la linea “garantista” è passata la “linea intermedia”. Niente sanzioni, ma possibilità di rivedere gli aiuti e gli accordi di cooperazione con i Paesi di transito e di origine dei flussi migratori clandestini, legando l’azione nel settore alla politica di relazioni esterne dell’Unione. Appare ancora poco chiara, tuttavia, la posizione dell’Europa nei confronti della regolamentazione dell’immigrazione legale, tanto da far venire il dubbio che le due questioni vengano affrontate in modo separato e che addirittura l’Unione dia priorità all’immigrazione clandestina. SirEuropa ha incontrato Kemal Komsuoglu , ingegnere informatico, responsabile delle Comunità Turche della Germania nordoccidentale.

Come giudica le conclusioni del Vertice di Siviglia?
“E’ andata meglio di quanto alcuni documenti preparatori avrebbero fatto pensare. Il rischio di fare di ogni erba un fascio e di punire i Paesi che o in mala fede o per effettiva impossibilità di mezzi non collaborano nella lotta all’immigrazione clandestina era grande, ed è stato parzialmente sventato. Dico rischio perché non è sempre facile – anche per un Paese come il mio – combattere contro le mafie organizzate infiltrate un po’ dappertutto. La storia europea lo insegna: si fa’ quel che si può, considerato anche che la povertà e la fame spingono la gente a cercare di sopravvivere, anche scappando clandestinamente, piuttosto che ad aiutare le autorità nell’individuazione dei trafficanti di esseri umani. E la stesse autorità hanno di fronte a loro un compito gravoso se si pensa a cosa significa nei Paesi poveri la “macchina statale”. E’ importante che l’Europa si renda conto che il problema dell’immigrazione va affrontato partendo dalla dimensione ampia delle relazioni esterne e dell’aiuto allo sviluppo. Ed è essenziale, però, che si renda conto che esiste anche l’immigrazione legale di milioni di persone che va regolamentata con un approccio al tempo stesso scrupoloso ed umano”.
Quale il nesso tra immigrazione legale e immigrazione clandestina?
“Il nesso esiste, ma è fondamentale che si riconosca. L’immigrazione è una con due aspetti – quello legale e quello illegale – strettamente correlati. Se le pratiche per la regolarizzazione, la concessione del visto, la ricerca di un lavoro, il ricongiungimento familiare, mettono a volte l’immigrato di fronte a situazioni insostenibili che lo fanno sentire praticamente un criminale per il solo fatto di essere straniero, il passo verso la clandestinità è breve. Non è un discorso demagogico, anche perché siamo tutti coscienti del fatto che alcuni Paesi europei tra cui l’Italia e la Germania “scoppiano” letteralmente e che quindi qualcosa bisogna pur fare. Ma questo qualcosa non deve essere l’apposizione di freni, di barriere, di disincentivi, bensì la presa di coscienza che, da un lato, l’immigrato che viene in Europa per lavorare è una persona che deve godere degli stessi diritti sociali di cui godono i cittadini degli Stati membri, e, dall’altro, l’immigrazione legale costituisce una risorse per l’economia europea. Da questo punto di vista, regolamentare significa anche favorire l’accesso al mercato del lavoro europeo. Senza dimenticare due cose: essere inflessibili contro la criminalità e la priorità che consiste nel creare sviluppo dove non ce n’é”.
Quale nuova politica di sviluppo europea, dunque, per combattere l’immigrazione clandestina?
“Non è un segreto che se c’è sviluppo locale l’immigrazione, di qualsiasi tipo, diminuisce. Chi si imbarca sulle “carrette del mare” o supera i valichi in montagna, o fa file di giorni fuori dai Consolati o dagli Uffici di Polizia preferirebbe non farlo, lavorare tranquillamente a casa propria ed aiutare la propria famiglia da vicino. Chi viene in Europa con l’intenzione di delinquere rappresenta una piccolissima minoranza. E’ bene dunque che l’Unione si sia resa conto dell’importanza di affrontare più seriamente la politica di aiuto allo sviluppo; non solo dando contributi troppo spesso usati male, ma accompagnando i governi e le popolazioni locali sulla via dell’istruzione, della formazione, della salute, dell’occupazione. Bruxelles può farlo, e gli stessi cittadini europei possono dare un grande contributo di umanità e civiltà in questo senso”.