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Gli elettori hanno votato per la liberalizzazione dell’aborto. La ” “sorpresa e il ” “rammarico della Chiesa” “” “
Gli svizzeri hanno detto sì alla depenalizzazione dell’aborto: chiamati alle urne il 1° e il 2 giugno, hanno approvato con una maggioranza di circa il 72% una legge volta a legalizzare l’interruzione di gravidanza nelle prime 12 settimane. Con oltre l’80% dei voti hanno invece detto no al referendum che chiedeva un divieto quasi assoluto dell’aborto. Il testo – promosso dagli antiabortisti – consentiva l’interruzione di gravidanza solo nei casi in cui la gestante si fosse trovata in “pericolo di morte acuto non altrimenti evitabile e dovuto a cause fisiche”. Con questo voto la Svizzera figura ormai tra i Paesi europei che hanno liberalizzato l’aborto. Le norme in vigore – severe ma disattese – risalivano al 1942: il Paese registra oggi una media di circa 12 mila aborti l’anno.
Porta aperta a nuovi attentati alla vita. “Vogliamo ricordare che per la Chiesa cattolica l’aborto rappresenta un attentato grave al comandamento di Dio ‘Non uccidere'”. Lo scrivono i vescovi svizzeri in un comunicato diffuso a poche ore dai risultati del referendum.
Nella nota, la Conferenza episcopale svizzera “deplora profondamente” i risultati del referendum. “Il fatto di poter ormai sopprimere impunemente la vita umana nascente durante le prime 12 settimane – si legge nella dichiarazione – apre la porta a nuovi attentati al rispetto della vita, sia al suo inizio (aborto permesso fino alla nascita, eliminazione dei feti portatori di handicap, ecc.) che alla sua fine (eutanasia)”. A questo punto, i vescovi “si appellano alla coscienza di ciascuno. Ciò che è permesso dalla legge non necessariamente è accettabile moralmente”. Ed aggiungono: “Ogni vita è un dono di Dio: non se ne può disporre a proprio piacere”.
Sostegno alle madri in difficoltà. A parere dell’episcopato svizzero, non basta impedire per legge l’interruzione di gravidanza: una società che voglia davvero “ridurre al massimo il numero degli aborti”, deve anche dotarsi di “mezzi” che permettano il raggiungimento di questo risultato. “Nuovi cammini – si legge nella nota – devono essere percorsi per portare l’aiuto necessario alle donne in situazioni difficili e per sostenere effettivamente le famiglie”. I vescovi si appellano anche allo Stato. “Risolvere i problemi morali o finanziari delle donne incinte – affermano – sopprimendo semplicemente l’origine del ‘problema’, e cioè il bambino nascente, è irresponsabile”. Occorre invece “adottare misure coraggiose”. La Conferenza episcopale svizzera chiede a governo e Parlamento di “impegnarsi risolutamente” per trovare “misure di accompagnamento in favore delle donne e della promozione della famiglia: assicurazioni, congedi, sussidi, asili nido, alleggerimenti fiscali, ecc.”.
La voce dei vescovi. Il referendum è passato nonostante i ripetuti appelli dei vescovi svizzeri in favore del bambino nascente e delle madri in difficoltà. “Gli elettori – ha commentato mons. Amedée Grab, presidente della conferenza episcopale – non hanno ascoltato gli appelli che ricordavano il carattere etico dell’inammissibilità dell’interruzione di gravidanza, denunciando anche la mancanza di aiuto da parte dello Stato per proteggere la vita dei bambini. Si poteva prevedere una sconfitta ma non avremmo mai creduto che la percentuale sarebbe stata così alta. E’ per noi un nuovo incitamento a difendere e a promuovere in tutta Europa i valori della vita”.
Anche mons. Denis Theurillat, vescovo ausiliare di Basilea, intervistato dall’agenzia di stampa Apic, si dice “molto sorpreso e deluso dal risultato”. Il vescovo si aspettava una sconfitta ma l’ampiezza del voto “ci interroga”. “Questo risultato – aggiunge – ci invita a fare sempre più appello al rispetto della vita umana. La conferenza dei vescovi svizzeri si impegnerà ad ascoltare la voce delle donne e delle coppie in difficoltà. E continuerà ad insistere sull’importanza di sostenere e proteggere la famiglia”. Nella sua edizione del 4 giugno, anche l’Osservatore Romano qualifica il voto svizzero come “una nuova ferita al diritto alla vita che è un bene fondamentale ed inalienabile”.
Maria Chiara Biagioni