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Ripensare il lavoro in un’ottica di sviluppo sostenibile: a questo tema è dedicata
la consultazione
dei vescovi europei
sull’ambiente in
corso a Venezia
“Lavoro e responsabilità per il creato. Lo sviluppo sostenibile esige una nuova visione del lavoro”. Questo il tema della quarta consultazione delle Conferenze episcopali europee sulla responsabilità per il creato in programma a Venezia, da oggi, 23 maggio, fino al 26 per iniziativa del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), con la collaborazione dell’ufficio Cei per la pastorale del lavoro e della Fondazione Lanza. “È la stessa responsabilità per il creato spiegano i promotori dell’incontro – che impone ai cristiani europei di ripensare il lavoro, declinandolo in forme rispettose delle realtà naturali e della salute dei lavoratori”.
La responsabilità per il futuro. E’ possibile conciliare rispetto per l’ambiente e creazione di nuovi posti di lavoro. A sostenerlo è Ignazio Musu del dipartimento di economia all’Università di Ca’ Foscari di Venezia che interviene al convegno promosso dal Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) su lavoro e responsabilità per il creato. “Viviamo esordisce l’esperto in un mondo in cui le richieste materiali fatte dall’individuo medio sono cresciute rapidamente”. La disponibilità delle risorse però è limitata e “soggetta a irreversibilità”. Ciò significa che se è possibile ricreare gran parte del capitale prodotto dall’uomo, “non altrettanto è possibile per l’ambiente naturale”. Una specie fatta estinguere oggi spiega il docente – non potrà essere riportata in vita domani. Dal punto di vista economico, questa constatazione chiede alla generazione presente di “essere altruista, sulla base di un’obbligazione morale verso le generazioni che la seguiranno”.
Politiche coerenti e consenso sociale. La sostenibilità osserva lo studioso – pone una costrizione anche alla crescita economica. Chiede soprattutto di “cambiare la natura del modello economico di sviluppo prevalente”, a partire dai processi di produzione per arrivare alle preferenze dei consumatori e alla composizione della domanda finale. A prima vista, questo cambiamento di prospettiva potrebbe essere considerato come causa di effetti negativi sull’occupazione attraverso l’imposizione di costi maggiori. “Tuttavia aggiunge Musu c’è una sufficiente evidenza empirica sul fatto che gli impatti ambientali negativi sono più che controbilanciati dagli aumenti dell’occupazione”, determinati in prevalenza dal bisogno delle aziende di impiegare nuovo personale per il controllo dell’inquinamento. Un altro modo indicato da Musu per promuovere un’economia sostenibile e al tempo stesso incrementare l’occupazione è attraverso le cosiddette “riforme fiscali ambientali”: l’idea è quella di spostare sui danni ecologici provocati gran parte dell’onere fiscale che pesa invece sul lavoro, favorendo così l’occupazione e al tempo stesso la qualità dell’ambiente. Ma perché si raggiungano questi obiettivi “è necessario un insieme di politiche coerenti e queste conclude Musu – devono essere sostenute dal consenso della società”.
Verso una nuova qualità della vita. Flessibilità. E’ questo il termine che più caratterizzerà i rapporti di lavoro in Europa nei prossimi anni. A ipotizzare il panorama del lavoro futuro, partendo da un’analisi di quello presente, è Eckart Hildebrandt, del Centro studi di Berlino per la ricerca sociale. Per flessibilità spiega l’esperto si intende “l’erosione dei cosiddetti rapporti di lavoro consueti”: da un’attività lavorativa a tempo pieno, fissa e stabile in un’azienda all’imposizione di nuove tipologie di contratti quali contratti a tempo parziale, lavoro interinale, accordi di prestazione. “Alcune caratteristiche del lavoro flessibile osserva lo studioso tedesco rendono più difficile il rispetto per l’ambiente”. Alcuni esempi: l’insicurezza induce ad un potenziale pericolo per alcune reti sociali; la crescente intensità del lavoro e dello stress quotidiano determina una diminuzione del “tempo per il mondo circostante” così come l’aumento del consumo commerciale provoca “un calo di attrazione per forme di tempo libero non materiale e culturale”.
Il management ambientale. Fino all’inizio degli anni ’70 ricorda padre Philipp Schmitz, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma si credeva che la tutela dell’ambiente eliminasse posti di lavoro, “con la sua politica di obblighi e restrizioni per investimenti”. Solo più tardi si cominciò a capire che “una politica ambientale attiva da parte dello Stato, accanto a dei rischi, poteva comportare anche delle possibilità per il mercato del lavoro”. Alcune aziende, per esempio, cominciarono a capire che “i rischi degli scandali in materia ambientale” erano troppo pericolosi e così “per evitare danni all’immagine si videro costrette ad attivare degli investimenti. Il management ambientale divenne di moda: anzi, l’impegno nel settore ambientalista rappresentava una legittimazione della tecnica e dell’industria, altrimenti volentieri demonizzate”. Questa convinzione ebbe però pochi effetti sul fronte occupazionale: “Per ragioni di redditività risultava irrinunciabile ridurre i posti di lavoro”. Le cifre almeno per quanto riguarda la Germania parlano chiaro: nel 1996 il Ministero tedesco per l’ambiente parla di un tasso di occupazione complessivo nel settore ecologico di un milione scarso di persone (2,7% dei lavoratori).
Il senso cristiano del lavoro. La “relazionalità” più del “significato economico” sono i fattori che entrano in gioco quando si vuole definire il lavoro tenendo conto del bene dell’uomo, osserva padre Schmitz. In questa prospettiva nuova, si ha un interesse minore per i valori del “mercato” ed un maggiore “rispetto per la dignità, la partecipazione con eguali diritti e la possibilità di un futuro per tutti”. Lo scenario dove questo lavoro si realizza, è appunto una “società sostenibile” dove, “in senso biblico vige l’ordine del Sabbat/sabato”, un’istituzione che si articola come “tutela dell’uomo, ordine sociale che rende possibile un’esperienza di comunità, ritmo del cuore e della vita della comunità e del suo agire”. Ancora attuale e importante sarebbe riuscire a “mantenere oggi” questa valenza del Sabbat in quanto potrebbe costituire una “direttiva istituzionale per la società sostenibile”.