Un “largo gruppo” di giovani che “non ha contatti con la Chiesa”, un “gruppo considerevole” di giovani che “partecipano ad una o più iniziative ecclesiali”, un “piccolo gruppo che è coinvolto strettamente nella vita della Chiesa”. Per i vescovi olandesi, il rapporto dei giovani con la comunità ecclesiale si riassume in queste tre modalità principali, che raggruppano mondi molto eterogenei fra loro. La proposta della fede nel mondo giovanile, nei Paesi Bassi, ha “successo” solo se è fondata su “un contatto personale” e il messaggio cristiano ha presa sui giovani quando vengono affrontate questioni spirituali e sociali “basate su valori condivisi” (giustizia, autenticità, pluralismo, rispetto, solidarietà, cura dell’ambiente, servizio). Ciò che bisogna evitare, secondo i vescovi olandesi, è una sorta di “contrapposizione frontale” tra i giovani e la Chiesa che per i giovani “parla troppo per stereotipi”. Una Chiesa “aperta, onesta, credibile e chiara”, più “abile” nell’arte dell’ascolto e in grado anche di confrontarsi con la “grande libertà” delle nuove generazioni nella sfera relazionale e sessuale: questo l’identikit tracciato dai vescovi olandesi per i giovani, attratti da “bellezza, misticismo e spiritualità” ma anche bisognosi di “testimoni” che sappiano parlare “il linguaggio del cuore, molto più importante di quello analitico e razionale”. L’impegno delle nuove generazioni si fonda sempre su “una libera scelta” e i giovani hanno bisogno di “bilanciare la cultura dell’efficienza e del profitto” in cui sono immersi con una proposta di fede che venga da “piccole comunità” fondate su “mutua amicizia”, nelle quali essi possono esprimere “quello che sperimentano nella loro ricerca di fede”: solo così la Chiesa potrà “creare comunione, diventare accessibile, aperta alle ricchezze di doni di persone di tutte le età, nazionalità e linguaggi”.