L’80% dei giovani italiani dichiara di credere in Dio, ma “come scelta privata che non si traduce in pratica religiosa”. In Italia, per molti giovani la Chiesa è “lontana”, per questo c’è bisogno “di una comunità cristiana meno sociologica e più di fede, di preghiera, accogliente, dialogante, esigente, disinteressata e gratuita, desiderosa di relazione con i giovani e disponibile a lasciarsi coinvolgere in un rapporto di autentica reciprocità”, nella convinzione che “la proposta della verità non è alternativa alla ricerca comune e alla promozione di una coscienza profonda e libera”. Una fede “meno scontata e di routine”, comunicata “mediante una coinvolgente iniziazione che tenga conto del legame con il vissuto concreto del giovane e le sue attese radicali più profonde”: è quanto auspicano i vescovi italiani per le loro comunità, in cui i giovani vengano aiutati a “formarsi una coscienza critica” anche verso il “vasto mondo del virtuale”, per convivere con le moderne tecnologie “senza cedimenti o adattamenti e senza demonizzazioni o rifiuti aprioristici”. Oltre ad esperienze come le Giornate mondiali della Gioventù, ai giovani vanno proposte iniziative come “scuole della Parola” e lectio divina, celebrazioni eucaristiche “mirate”, itinerari di educazione alla preghiera ed esperienze a servizio delle povertà nel mondo. Soprattutto, le parrocchie dovrebbero “offrire un tessuto di relazioni, aprire spazi di incontro, mettere a disposizione comunità educanti e ambienti in cui i giovani si sentano accolti perché sono giovani”. Per i vescovi italiani, occorre inoltre “abitare” i luoghi dei giovani, riempirli di “presenze educative per soccorrere i feriti della vita, della notte, dello sballo, per essere il segno concreto che ogni giovane sta a cuore alla chiesa”.