A rischio l’etica medica” “

Dal 1993 in poi la legislazione inglese riconosce il diritto del malato a rifiutare cibo, acqua e cure mediche e a lasciarsi morire: si tratta evidentemente di una legge permissiva nei confronti dell’eutanasia: certamente non la impone, ma neanche la punisce. Ci troviamo dinanzi ad una situazione drammatica che interpella la società, i medici, i parenti. Il caso, poi, della paziente tetraplegica è, secondo la Carta per gli Operatori sanitari (n.121), pubblicata nel 1995, un vero e proprio atto di eutanasia e non di accanimento terapeutico. Non si può, peraltro, tralasciare il fatto che è in netto sviluppo il campo della ricerca sulle cure palliative, che permettono di condurre con dignità la propria sofferenza. Lo ha ricordato pochi giorni fa Giovanni Paolo, parlando alla delegazione della Lega italiana per la lotta contro i tumori: “voi vi applicate allo studio sulla terapia del dolore. Si tratta d’un campo di ricerca quanto mai attuale, perché migliorando la qualità della vita di coloro che sono a afflitti dalla malattia, dà loro la possibilità di essere alleviati e sostenuti validamente” (Discorso del 25/02/02). Al di là di queste considerazioni etiche, colpisce con rammarico il ruolo assunto nel decorso ospedaliero dall’Autorità civile, che ha definito lo sforzo medico una semplice forma di paternalismo benevolente. Colpisce per il fatto che l’etica medica, in questo caso l’etica medica occidentale ippocratica, sia ormai sottoposta ad un giudizio che viene dall’esterno e che, la legge possa, in definitiva, obbligare un medico a non prestare un atto ancora in quel caso dovuto.
Marco Doldi – teologo