ex-jugoslavia" "
” “Alla sbarra del tribunale dell’Aja c’è la cattiva coscienza dell’Europa e degli Usa, le cui cancellerie ben conoscevano i disegni ” “di Milosevic” “
Quaranta imputazioni per crimini di guerra, ventuno per crimini contro l’umanità, due per genocidio. Reati commessi tra il 1991 e il 1999 in Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Non destano affatto scalpore le accuse contestate il 12 febbraio da Carla Del Ponte, procuratore capo del tribunale Onu all’Aja, a Slobodan Milosevic. Alzi la mano chi, con un minimo di conoscenza di quelle vicende “brutalità medievali e forme di crudeltà calcolata”, le ha definite la stessa Del Ponte – non sapesse che il regista dei massacri che hanno insanguinato i Balcani nell’ultimo decennio del secolo scorso fosse l’uomo forte di Belgrado. Davanti al tribunale internazionale alla sbarra c’è, dunque, la cattiva coscienza dell’Europa e degli Usa, le cui cancellerie ben conoscevano i folli disegni di “Slobo”, ma lo hanno a lungo assecondato nella speranza che potesse diventare il nuovo Tito capace di tenere unita la federazione jugoslava, se non con le buone almeno con le cattive maniere. Come dimenticare che ancora nel 1995, quando si erano già consumate le tragedie della Croazia e della Bosnia, era considerato fattore di pace e stabilità e per questo ossequiato dai governi occidentali. I serbi gli hanno voltato le spalle alle elezioni del 24 settembre 1999 non perché li ha portati alla fame ed alla guerra, ma perché, dopo aver promesso loro la “Grande Serbia”, ha perso le Krajine in Croazia, la Bosnia, il Kosovo; in pratica anche il Montenegro, ormai completamente autonomo, tanto che le valuta ufficiale della piccola repubblica è l’euro.
I “generali” sono ancora in servizio. E se Milosevic si proclama ingiustamente perseguitato solo per aver operato per il bene del suo popolo e in sua difesa chiamerà a testimoniare Clinton, Blair, Chirac ed altri potenti presenti e passati – questa è ancor oggi la convinzione di gran parte dei serbi. Lo arrestarono, infatti, per corruzione, appropriazioni indebite e abuso di potere, non certo per l’aggressione contro i paesi vicini. Fu consegnato al tribunale internazionale su ordine del premier serbo, Zoran Djindjic, sconfessato dal presidente jugoslavo, Vojislav Kostunica, che attualmente cerca di impedire con tutte le forze la partenza alla volta dell’Aja di testimoni contro Slobo. Del resto il braccio destro di Milosevic, Milan Milutinovic, è ancora presidente della Serbia e i generali che eseguirono i massacri sono ancora in servizio o si godono le proprie pensioni d’oro passeggiando nelle vie di Belgrado. C’è chi giura di aver visto nelle capitale addirittura il famigerato Ratko Mladic, autore delle più efferate stragi in Bosnia. Ed anche il grande teorico della pulizia etnica, Radovan Karadzic, il luogotenente di Slobo tra i serbo-bosniaci, non è mai stato arrestato.
La pace è ancora lontana. In Kosovo alla pulizia etnica dei serbi nei confronti degli albanesi si è sostituita quella degli albanesi nei confronti dei serbi costretti a vivere in enclaves protette dalle forze Nato – la ricostruzione non decolla, l’economia è inesistente, la democrazia è poco più di un concetto astratto. Di conseguenza, prosperano le attività criminali e la provincia è diventata il paradiso di contrabbandieri e trafficanti di armi, droga, prostituzione. In Bosnia-Erzegovina, con gli accordi di Dayton che hanno sancito nei fatti i risultati della guerra, smembrando il paese in diverse entità etniche pronte a ridarsi battaglia non appena le truppe internazionali avranno levato le tende, la prospettiva della pacificazione e della convivenza appare ancora molto lontana. In Serbia le tensioni politiche interne e le difficoltà economiche non lasciano presagire nulla di buono. Pure in Macedonia la situazione è lungi dall’essere tranquilla. Lo spettacolare processo all’Aja rischia, dunque, di essere nient’altro che una foglia di fico per coprire il bilancio fallimentare della politica internazionale nei confronti dei Balcani.