Il discorso annuale sullo stato dell’Unione, tenuto dal presidente americano Bush nei giorni scorsi davanti alle due Camere riunite nel Congresso, diventa l’occasione, per i principali quotidiani europei, di “fare il punto” sulla politica estera statunitense, a quattro mesi dai tragici attentati dell’11 settembre. “George W. Bush sul fronte della recessione”, titola ad esempio Le Monde del 30/1. “Recessione, aumento della disoccupazione e fine dell”esuberanza irrazionale’ che aveva marcato gli anni della ‘nuova economia’”: questi, si legge nel sommario del quotidiano francese, i fenomeni principali che Bush si trova a dover fronteggiare di fronte all’opinione pubblica. Decisiva, soprattutto, la questione economica: “Per la prima volta in quattro anni sottolinea ancora Le Monde il budget dovrebbe essere in deficit per il 2002. Inibita dall’ondata patriottica ma costretta a preparare le elezioni intermedie di novembre, l’opposizione è alla ricerca di un leader”. “Il governo e l’opposizione commenta, a questo proposito, Patrick Jarreau nell’articolo si ritrovano là dove erano prima dell’11 settembre, quando la questione era quella dei prelevamenti operati sulle quote di pensione per finanziare, soprattutto, le spese militari”. La lotta contro il terrorismo e l’economia: questi, osserva La Croix (29/1), i fronti principali del discorso di Bush, che si appresta a vivere “un anno importante” di presidenza. In autunno, ricordano infatti Gilles Biassette e Guillemet Faure sul quotidiano cattolico d’oltralpe, “gli americani rinnoveranno la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato. Tenuto conto dell’equilibrio attuale delle forze, già estremamente fragile nel Congresso uscente, lo scrutinio si annuncia delicato”. Mentre il presidente americano tiene il suo discorso sullo stato dell’Unione, “Bush e i Repubblicani cavalcano una storica ondata di popolarità”, fanno notare Richard Morin e Dana Milbank sull’ Herald Tribune (30/1): “Lo straordinario livello di popolarità di Bush – più alto e più duraturo di qualsiasi altro presidente moderno è ancora più degno di nota perché arriva nel momento in cui l’opinione pubblica americana nutre dubbi significativi sull’economia e gli altri affari interni”.
“ Le gabbie di Guantanamo” è il titolo dell’articolo che lo Spiegel del 28/1 dedica ai prigioneri talebani custoditi nella base americana di Cuba; i due autori dell’articolo, Fritjof Mayer e Gerhard Spörl affermano che “ assolutamente impreparata, la superpotenza si trova esposta a un’ondata di indignazione a livello mondiale sul trattamento dei suoi prigionieri afghani. Ma Washington preferisce rischiare un’infrazione al diritto internazionale, piuttosto che rinunciare a portare i detenuti davanti ad un tribunale militare“. Alle proteste che già si sono levate dalle parti alleate, gli americani rispondono che i prigionieri sono “ combattenti illegali, un concetto sconosciuto al diritto internazionale“. Sullo stesso argomento anche l’articolo di Katja Gelinsky comparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 28/1, “ Antiche differenze“. L’autrice scrive che “ agli americani non sempre interessa quello che si pensa e si scrive di loro in Europa“, ma “alle reazioni critiche sul trattamento dei talebani prigionieri si fa attenzione anche a Washington“; “nel dibattito attuale si rispecchiano antiche differenze tra gli europei e gli americani, che per un po’ di tempo, a causa degli attentati terroristici, erano passate in secondo piano “.
A giudicare “ inaccettabili” e “disumane” le condizioni dei prigionieri talebani a Guantanamo su El Pais del 22/1 è la scrittrice americana Barbara Probst Solomon. Anche sul quotidiano spagnolo La Razón del 27/1 si denuncia il “ vergognoso silenzio dei governi… non possiamo rimanere zitti e fermi, come complici passivi del degrado della democrazia, con la scusa della lotta antiterrorista “. La Vanguardia del 27/1 ironizza giudicando “ ingenua la lodevole pretesa di regolare con alcuni criteri etici sicuri la disumanità del campo di battaglia e il trattamento che deve darsi allo sconfitto. Ma in questi giorni non è mancato chi ha applaudito la risoluzione e la forza sul fronte di battaglia, mentre ora rivendica magnanimità per i superstiti“. Sullo stesso giornale (25/1) il teologo spagnolo J.I.Gozález Faus in una lettera aperta a Bush scrive: “S ono cittadino di un Paese che fu impero per un periodo della sua storia. E ciò mi obbliga di più a ricordarle quello che tutti gli imperi dimenticano: il fine non giustifica i mezzi“.¤