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“Un’occasione perduta per la laicità in Grecia”. Così Valia Kaimaki, su Le Monde diplomatique (dicembre 2002), definisce le “pressioni” della Chiesa ortodossa sullo Stato, rilanciate dopo le elezioni comunali dell’ottobre scorso, ma al centro del dibattito politico da almeno due anni. “L’arcivescovo ortodosso Christodoulos – ricorda l’articolista – ha perduto la battaglia della carta d’identità: come esigeva l’Unione europea, l’appartenenza religiosa non vi figura più. Ma il Partito socialista (Pasok) al potere non ha messo a frutto questa vittoria per avanzare verso la separazione tra la Chiesa e lo Stato”, anche se “la riforma costituzionale del 2001 gliene avrebbe fornito l’occasione”. A proposito della battaglia tra Chiesa e Stato per le carte di identità, Kaimali spiega che non si è trattato, come sembrerebbe, di una “vittoria” dello Stato, in una società, come quella greca, dove “il culto è onnipresente, e anche gli agnostici vanno alla Messa di Pasqua”. Nel 1998, l’elezione di Christodoulos ad arcivescovo ha dato, inoltre, “un nuovo slancio alla Chiesa (…). Vescovi, preti e burocrati dell’amministrazione ecclesiastica intendono proteggere le loro conquiste minacciate dall’apertura della società. E l’arcivescovo Christodoulos incarna il disagio diffuso che suscitano sfide come quelle della mondializzazione o dell’immigrazione. Tutto ciò si traduce in una ondata di neofascismo e xenofobia, che la storia – soprattutto la resistenza al nazismo durante la seconda guerra mondiale – aveva risparmiato alla Grecia”.
Sulla “cultura europea” come “cultura cristiana” riflette, invece, Olivier Clément ( La Croix, 2/12), secondo il quale è il cristianesimo che “ha permesso” alla cultura europea “di fondare e di oltrepassare, in un crogiolo che occorre chiamare biblico ed evangelico, sia riguardo al genio filosofico della Grecia, sia riguardo al genio giuridico di Roma”. L’ idea di persona, spiega il teologo ortodosso, “si è precisata” grazie al cristianesimo come “esistenza unica e nello stesso tempo aperta, esistenza in comunione con l’immagine di un Dio che non è né la solitudine onnipotente nel cielo, come nell’Islam, né la matrice fusionale come nelle spiritualità asiatiche, ma pienezza simultanea dell’unità e della diversità, dell’Uno e dell’Altro”. Nello stesso tempo, aggiunge Clément, “la rivelazione cristiana ha mostrato nel mondo una realtà creata, cioè autonoma, dotata di una consistenza propria e ciononostante penetrata dall’intelligenza e dalla bellezza di Dio (…). Ha reso possibile, infine, la scienza moderna, favorita anche dal pensiero ‘in tensione’ che caratterizza la teologia dei primi concili”
Al centro dei commenti della stampa tedesca le reazioni sul doppio attentato terroristico in Kenya. “ Il mondo come campo di battaglia“, titola un articolo di Peter Münch sulla Süddeutsche Zeitung (29/12) . “Il fronte non è tra poveri e ricchi, tra oppressi e dominatori”: lo provano “il multimilionario Osama Bin Laden e i suoi numerosi compagni sauditi. Con un’infrastruttura religiosa e il pathos pseudopolitico, i terroristi riescono a catturare le coscienze di una vasta massa del mondo islamico. Per portare equilibrio in Medio Oriente non ci vogliono mezzi militari ma politici. I fanatici si combattono efficacemente solo se vengono isolati dalle masse“. “ La lotta al terrorismo e la lotta alle armi di distruzione di massa nelle mani di despoti non sono la stessa cosa“, commenta Klaus Dieter Frankenberger sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. “ Ma entrambe hanno la stessa urgenza. Un po’ di trascuratezza potrebbe avere conseguenze fatali“. Agli attentati in Kenya anche il settimanale Der Spiegel (2/12) dedica spazio: “ Il modo di agire e i motivi dell’attentato di Mombasa sono perfettamente compatibili con Al Qaida. Sono i metodi indicati dal loro capo-ideologo Aiman al-Sawahiri in riferimento alle mete turistiche“. “ Nessuno si deve più sentire sicuro da nessuna parte“, prosegue. “ Al-Qaida continua a globalizzare la lotta. Per la prima volta, la rete e i suoi simpatizzanti hanno dimostrato che persino all’estero gli israeliani non sono più sicuri“.