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Il vuoto legislativo che riguarda la protezione dell’embrione fa sì che questo venga ancora considerato un’enigma a vantaggio di interessi scientifici e finanziari” “
Si è svolto a Bruxelles il 19 e 20 ottobre un forum internazionale di bioetica, sul tema “Concepire l’embrione”, promosso dall’associazione “Médecine et Dignité de l’homme” (Medicina e Dignità dell’uomo), creata nel 1981 da Elisabeth Bourgois, scrittrice ed infermiera. Il convegno, partendo dallo sviluppo delle ricerche sull’embrione e dalle numerose prospettive mediche che si preannunciano, ha offerto diverse indicazioni all’Unione Europea.
Un appello ai Governi per fare in modo che “si prendano misure legislative indispensabili per difendere, proteggere e promuovere qualsiasi essere umano assicurandone la protezione tramite la legge, sin dal suo concepimento, favorendo le ricerche sulle cure delle malattie genetiche che non distruggono o mutilano embrioni malati”. E’ quanto è emerso dal forum di Bruxelles nel quale non sono mancate le denunce circa il vuoto legislativo riguardante gli embrioni. “Si continua a mantenere in Francia una situazione di non-statuto per l’embrione – ha dichiarato Philippe Anthonioz, docente di embriologia presso il Centro Ospedaliero di ricerca universitaria di Tours – in modo da non rimettere in discussione alcuna conquista. Si desidera disporre dell’embrione a fini di ricerca, aggravando così tutta la bioetica della vita che inizia, cominciata con le inseminazioni artificiali e proseguita con le fecondazioni in vitro. Il comitato nazionale di bioetica si limita a qualificare l’embrione come un enigma”.
Un’assenza di statuto che mette in difficoltà anche i giuristi per la difesa dei diritti della vita nascente, come ha ricordato Myriam Blumberg-Morki, avvocato alla Corte d’Appello di Parigi: “L’irruzione dell’embrione sul banco del laboratorio e sulla scena giuridica sembra proprio essere un tema troppo caldo per essere gestito correttamente”. “Il procedimento legislativo, in Francia come anche a livello regionale europeo, consiste nell’erigere regole di protezione sull’embrione umano prima ancora di essere in grado di dare una definizione di quest’interesse protetto”. Ciò rende fragile la protezione dell’embrione: “La ricerca di una definizione giuridica dell’embrione umano fa sì che lo si proietti sulla scena giuridica come un ‘elemento’ alle prese con il diritto”. Rimane soprattutto preda degli interessi scientifici e finanziari che occupano “questo statuto giuridico vuoto”. Per Alain Mattheeuws, docente all’Istituto di Studi di teologia di Bruxelles, “rispettare il piccolo nel mistero del suo essere significa esercitarsi a conoscere meglio l’uomo, la sua origine e la sua fine, così come a rispettarlo in tutti”.
Al forum di Bruxelles ha partecipato anche Xavier Mirabel, cancerologo e presidente del comitato contro la ‘handicapfobia’. Il medico, padre di una bambina down di sei anni, si è detto “indignato per questa caccia all’embrione imperfetto. Le pratiche della diagnosi prenatale si ripercuotono fortemente sull’esperienza della gravidanza, sempre più medicalmente assistita in un contesto estremamente ansiogeno”. “Si assiste ha detto – ad un disimpegno della ricerca nei confronti di malattie che non dovrebbero presto più esistere. Ci sono stati tentativi di riconoscimento di un ‘diritto’ a non nascere disabile e si constatano rifiuti sempre più sistematici da parte delle famiglie che hanno nascite di portatori di handicap. La pratica della diagnosi prenatale ha ripercussioni serie che non possiamo ignorare”.
Secondo Mirabel “non si tratta più di mettere in guardia contro un rischio di deriva eugenetica ma di aprire gli occhi sulla realtà di un’eugenetica il cui carattere più o meno individuale non riduce né i rischi, né l’aspetto totalitario. L’eugenetica ‘individuale’ è in realtà promossa da alcune politiche sanitarie”. D’altronde, ha aggiunto il docente, “le pratiche di selezione prenatale si svilupperanno verso la diagnosi del preimpianto. C’è chi sostiene che tali pratiche sarebbero meno dolorose per le famiglie. Ma non è così semplice: il sentimento del rigetto rischia di essere più forte per le persone disabili. Lo sguardo che pongo sull’embrione, accettato o rifiutato, è lo sguardo che pongo sull’altro. La difficoltà ha concluso il medico – è che non sappiamo più riconoscere l’uomo, né nella persona disabile, né nel malato terminale, né nell’embrione o nel feto”.
Maryvonne Gasse – Parigi