Bisogna “europeizzare” il passo. Suona così il titolo di un articolo di Valery Giscard d’Estaing, pubblicato in prima pagina da Le Monde (2/10) a commento dell’evoluzione della crisi Stati Uniti-Iraq, all’indomani dell’incontro di Vienna per verificare le modalità dell’invio degli ispettori delle Nazioni Unite nel paese di Saddam Hussein. Secondo l’ex presidente della Repubblica, ora presidente della Convenzione per il futuro dell’Europa, la diplomazia francese “mira ad organizzare le relazioni internazionali su basi stabili, integrate da doveri vicendevolmente accettati che privilegiano la ricerca di soluzioni diplomatiche alle situazioni di crisi”. Tali “soluzioni”, per Giscard d’Estaing, “devono essere appoggiate dalla pressione della comunità internazionale, organizzata in seno alle Nazioni Unite e l’uso della forza deve essere considerato solo come un rimedio ultimo, una sorta di soluzione catastrofica in ultima istanza”. Gli sforzi della diplomazia francese, conclude l’autore dell’articolo, dovrebbero “europeizzare” il loro passo, “per mettere in rilievo le attitudini comuni dei nostri alleati, grandi e piccoli”.
Dei quarant’anni del Concilio Vaticano II si occupa, invece, La Croix (28-29/9), che ospita un ampio dossier sull’importante anniversario, con due pagine speciali dedicate alle “memorie” di uno dei teologi di punta dell’epoca: padre Yves Congar. Prendendo spunto dalla pubblicazione dell’ultima opera del teologo domenicano il “Giornale del Concilio”, pubblicato in questi giorni Bruno Chenu firma un articolo in cui sottolinea che “la preoccupazione finale di padre Congar è per il dopo-Vaticano II”. “Vedo da molto tempo scrive infatti il teologo domenicano che uno dei problemi maggiori del dopo-Concilio sarà di conservare la cooperazione organica la sola che ha permesso e fatto il Concilio tra vescovi e teologi”.
“I Paesi in via di sviluppo guadagnano o perdono quando i loro ‘ cervelli’ si trasferiscono all’estero?” e “che cosa possono fare le nazioni ricche?”: sono due domande a cui cerca di rispondere, nel suo ultimo numero, il settimanale “The Economist” con un servizio speciale dedicato all’emigrazione. In particolare, suggerisce il settimanale, “le nazioni ricche dovrebbero investire più risorse nell’istruzione terziaria delle nazioni povere, con lo scopo di finanziare la preparazione di coloro che dovranno impiegare. Un esempio viene dall’università di Bucarest che sta attivando una serie di contatti con il Governo olandese per dare una formazione a quegli operatori tecnologici, poliziotti, infermieri che lo stesso governo intende assumere”. Ma, nota ancora l’Economist, “più difficile è per i migranti l’ingresso in un Paese, più riluttanti saranno nel rischiare un rientro nella Patria d’origine. Infatti più tempo si passa all’estero più il soggiorno diventa permanente”.
I giornali tedeschi dedicano ampio spazio alla politica estera ed al rapporto con gli Stati Uniti. Sul settimanale Die Zeit del 26/9, Reinhard Merkel si occupa della crisi irachena: “ Le ‘guerre preventive’, nel vero senso del termine, sono illegali… Quando la supremazia mondiale ignora le norme fondamentali del diritto internazionale, di cui è garante, viene sconfessata la validità stessa della norma. L’unica possibilità di assicurare l’ordine è garantire il suo fondamento giuridico“. L’America, scrive Dietrich Alexander su Die Welt del 1/10, “ ha bisogno di partner e non può affatto ignorare l’Onu e il consiglio di sicurezza in una questione così determinante come la guerra“. Josef Joffe, articolista del “Die Zeit” commenta le recenti elezioni del Bundestag sul settimanale Time del 23/9. Per Joffe, la passata campagna elettorale avrebbe dovuto occuparsi della difficile situazione economica tedesca: “La Germania rischia di diventare il Giappone del continente: un Paese divenuto vittima del suo successo passato, che rifiuta di cambiare. Sia Schröder che Stoiber sono perfetti rappresentanti di questo malessere: chiedono poco al Paese e il Paese si aspetta poco da loro“.
Il settimanale Der Spiegel del 30/9 dedica i servizi di copertina alla crisi nei rapporti tra Stati Uniti e Germania: secondo lo storico Heinrich August Winkler ad un anno dall’11 settembre, “ è indubbio che gli Stati Uniti e la maggioranza dei suoi alleati europei abbiano pareri molto diversi sul futuro ordinamento mondiale… La dottrina di Bush minaccia uno dei maggiori progressi dell’occidente: l’applicazione alle relazioni internazionali del principio della supremazia del diritto“.