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Elezioni tedesche: tutto come prima?” “

I due schieramenti volevano assicurarsi una sopravvivenza al centro, in una campagna che si è svolta con esemplare correttezza” “

Ci sono diversi modi di interpretare il risultato delle elezioni politiche del 22 settembre scorso in Germania. L’immediato elemento è quello della riconferma, sia pure stentata, della precedente coalizione fra socialdemocratici di Gerhard Schroeder e “verdi” di Joschka Fischer (il vero vincitore della consultazione): nulla, all’apparenza, sembra cambiare nel governo del Paese. Ma il fattore di debolezza sta nella presenza dell’opposizione parlamentare di ben 247 deputati di una CDU-CSU, (cui si aggiungono i 47 liberali, contro i 305 della maggioranza) che ha superato le conseguenze della vicenda legata ai fondi neri dell’ex cancelliere Helmut Kohl e che controlla l’altra Camera federale, il Bundesrat. Si presenta, in effetti, una società divisa in due blocchi, moderatamente conservatore il primo e l’altro moderatamente progressista. Non a caso è stata azzerata l’estrema destra, mentre si è ritrovata espunta dal meccanismo delle leggi elettorali la sinistra comunista (non entrerà in Parlamento pur avendo una percentuale pari a quella della Lega in Italia).
E’ difficile parlare di un “disegno di società” come differenza di fondo fra i due schieramenti. Un po’ più di liberismo e di flessibilità nei rapporti di lavoro e una pretesa maggiore efficienza per i democristiani; tuttavia Edmund Stoiber, il loro candidato, nella conduzione degli affari di Baviera come ministro presidente si può considerare un dirigista. Un po’ più di sollecitudine da parte della SPD e dei verdi verso lo Stato sociale; ma non si dimentichi che Schroeder ha molto concesso (con qualche malumore dei sindacati) all’iniziativa privata con ampie detrazioni alle industrie che investono capitali all’estero. Il solo colpo maestro, ed elettoralmente pagante, lo ha inferto Schroeder, intervenendo con tempestività dopo le alluvioni che hanno messo in crisi il Paese, specialmente all’Est. Neppure le posizioni internazionali dei due schieramenti aiutano a leggere la cifra della vittoria e della sconfitta. Forse Schroeder è stato più deciso nell’opporsi all’idea di avventure di guerra preventiva all’Iraq; ma Stoiber ha soltanto taciuto, dato che un atteggiamento di appoggio al bellicismo americano sarebbe stato elettoralmente negativo. Sull’Europa, i due candidati sembrano essere stati poco loquaci e generici; ma l’uno e l’altro hanno detto a Romano Prodi, in conversazioni private, di non avere intenzione di denunciare il patto di stabilità. E la Germania, indipendentemente dal vincitore, è stata premiata dalle ultime decisioni dell’Unione Europea di far “slittare” il pareggio dei conti pubblici.
Curiosamente pare che sia stato offerto poco spazio a temi di natura etica, nonostante la presentazione da parte della Conferenza episcopale tedesca di una sorta di “vademecum” che servisse da orientamento nella scelta dei programmi e dei candidati. Il Bundestag rosso-verde aveva approvato leggi che collidevano con il comune sentire cristiano (le unioni omosessuali, la legalizzazione della prostituzione) ma la comunità dei fedeli non aveva fortemente e unanimemente sostenuto altri princìpi (per esempio scegliendo vie differenti sul problema dei consultori, cattolicissima Baviera compresa): e gli “scheletri nell’armadio” hanno pesato anche nelle scelte elettorali. Tutto questo, se vogliamo, ha una risposta: i due schieramenti volevano assicurarsi una sopravvivenza al centro, in una campagna che si è svolta, a parte la durezza degli scontri verbali, con esemplare correttezza. Dobbiamo esserne lieti. Una volta la Germania era un problema per l’Europa e per il mondo. Oggi non più. C’è, è vero, una lettura “bipolare” dei risultati: il voto tedesco, cioè, arresterebbe la tendenza al pensiero unico moderato in Europa diventando il polo di attrazione delle democrazie nordiche, e domani magari del “blocco dell’Est”, in contrapposizione con l’area mediterranea del Continente. Un rischio di divisione che sta essenzialmente nelle categorie astratte dei politologi, che dovrebbero spiegare l’anomalia dell’asse franco-tedesco, delle convergenze fra Londra, Madrid e Roma, delle alleanze di convenienza che si intrecciano di volta in volta sulle situazioni più disparate. E i risultati delle elezioni tedesche stanno lentamente scomparendo dall’attualità: come tutto ciò che è normale.