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L’Unione Europa appare incapace di parlare con un’unica voce e di assumere l’iniziativa nella crisi irachena” “
Nonostante la politica estera e di sicurezza comune (Pesc) e la politica di difesa comune (Pesd), l’Unione Europea appare profondamente divisa sull’ipotesi di attacco militare all’Iraq. Germania e Francia hanno preso le distanze dalla dottrina della “guerra preventiva” degli Stati Uniti. Regno Unito e Italia non escludono la possibilità di un intervento armato. La presidenza danese ha espresso il sostegno dell’Unione Europea alle azioni del Consiglio di sicurezza e del Segretario generale delle Nazioni Unite per trovare una soluzione alla crisi. Abbiamo chiesto a Konrad Rooms , ricercatore di Strategia Militare presso la Libera Università di Bruxelles, quale iniziativa può assumere l’Unione Europa nella crisi irachena.
Venti di guerra sull’Iraq: l’Unione Europea può avere un ruolo?
“L’Unione Europea vorrebbe svolgere un ruolo indipendente, se possibile anche determinante, ma dubito che ne sia in grado. Oggi come già accaduto in Iraq nel 1991, in Somalia, nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, sono troppe le divisioni politiche e ideologiche e troppo scarne le basi giuridiche dei Trattati per permettere ai Governi degli Stati membri di assumere una posizione collettiva. La presenza del premier britannico Tony Blair a fianco del presidente degli Stati Uniti lo dimostra. Addirittura, è il governo britannico che si sta facendo latore per conto di Washington dell’intervento armato di tipo preventivo volto ad evitare che l’Iraq possa utilizzare armi chimiche o predisporne di più distruttive. In un momento in cui l’Europa avrebbe l’occasione di unirsi maggiormente, si rischia al contrario di scoprire il fianco mettendo in luce i limiti della Pesc e della Pesd. Un bel regalo sia a chi cerca di arrestare l’unificazione dell’Europa sia al terrorismo internazionale”.
Un intervento armato in Iraq, con la partecipazione dell’Unione Europea, è necessario?
“I dubbi sulla reale onestà irachena esistono ed esiste anche qualche certezza sul loro arsenale. Io ritengo che l’Europa ha in questo momento l’occasione di guidare, sotto l’egida delle Nazioni Unite, una cordata internazionale che imponga a Saddam Hussein la presenza di ispettori che si rechino non solo negli arsenali conosciuti, o nelle centrali che esistono sulle mappe, ma anche nelle altre fabbriche, sotto le scuole e gli ospedali, nel centro delle città e nel deserto. Questa azione sarebbe la consacrazione della politica europea di sicurezza e di difesa, oltre che un guadagno in prestigio e credibilità dell’UE in politica internazionale”.
Quale sarà il futuro delle politiche europee di sicurezza e di difesa comune?
“Le parole e le dichiarazioni di Javier Solana e dei Quindici in materia di difesa europea si sono sprecate e si sprecano. Nessuno può andare oltre alla buona volontà o alla straordinaria lungimiranza politica se il Trattato non pone basi giuridiche certe. Anche le Nazioni Unite, che pure dispongono di uno Statuto chiaro e sperimentato, incontrano difficoltà di ogni tipo quando si tratta di agire. Mi aspetto molto dai lavori della Convenzione europea per il futuro dell’Europa. Le proposte sul tavolo sono interessanti, soprattutto quella di concentrare le funzioni di Alto Rappresentante della Pesc e di responsabile delle relazioni esterne nella persona di un Commissario. Proposta sensata anche perché corrisponderebbe alla creazione di una sorta di ministro degli esteri con competenze alla difesa nell’ambito di un esecutivo forte e legittimato. Un’Europa dotata di costituzione federale e di un Commissario alla politica estera potrebbe assumere il rango di ‘potenza mondiale’ anche nel settore della difesa”.