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Il mancato sostegno degli Stati Uniti alla Corte penale internazionale – entrata ufficialmente in attività il 1° luglio – è il tema di un articolo pubblicato da Le Monde (2/7), in prima pagina e dell’editoriale dedicato dal quotidiano francese al controverso rapporto tra America ed Europa in tale ambito. “Washington usa il veto dell’Onu per combattere contro la Corte penale internazionale”, sottolinea Le Monde, riferendosi all’opposizione espressa dagli Usa, durante l’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nei riguardi del prolungamento della missione in Bosnia per altri sei mesi. “Washington – si legge nell’articolo in prima pagina – voleva così protestare contro i poteri attribuiti alla Corte penale internazionale, che (…) è stata creata per giudicare le persone accusate di genocidio o di crimini di guerra. Gli Stati Uniti dicono di non volere che i caschi blu americani e il personale degli altri Paesi che non aderiscono alla Cpi vengano condotti davanti a questa istanza”. L’importanza della nuova Corte per gli attuali scenari internazionali è, invece, il tema dell’editoriale del quotidiano francese, in cui si sottolinea che la “svolta” consiste in una “evoluzione del diritto internazionale, iniziata da una dozzina di anni, che mira a limitare il principio della sovranità degli Stati (…). La creazione della Cpi vuol dire la fine dell’immunità giuridica di cui hanno beneficiato finora molti autori di genocidi e altri grandi criminali della scena internazionale”. Certo, ammette Le Monde, “la Cpi è ancora lontana dall’essere universale”, visto che dei 139 Paesi che hanno sottoscritto il trattato istitutivo solo 74 l’hanno ratificato. “Arroccate sulla difesa della sovranità degli Stati – commenta il quotidiano francese – le grandi potenze rifiutano la Cpi” che resta “una creatura dell’Europa e di una società civile internazionale composta di centinaia di Ong che non hanno mai smesso di battersi per far nascere questo tribunale”. A dichiarare il proprio scetticismo sulla reale efficacia di un’istituzione come la Corte penale internazionale è invece l’ Herald Tribune (3/7) che mette in guardia da “celebrazioni premature” e osserva: “La Corte può riuscire a far giudicare i criminali di guerra ma senza maggiori controlli e contrappesi sulla strada della democrazia potrebbe anche perseguitare un innocente”.

Il disastro aereo in Germania del 1° luglio viene trattato diffusamente dalla stampa tedesca; tra i primi commenti, un articolo della Frankfurter Rundschau del 3/7: “ Se, come avviene ormai spesso, verrà accertato un errore umano all’origine della tragedia“, si legge, “ ciò dimostra che con l’aumento degli aerei e delle persone in volo si accumulano anche gli incidenti. E aumenta anche la pressione su equipaggi e piloti“.
Numerosi anche gli articoli sul recente vertice del G8 che ha approvato un piano d’azione per l’Africa: “ Lo scetticismo è sempre d’obbligo, quando nei grandi incontri internazionali vengono rilasciate dichiarazioni solenni“, commenta Peter Sturm sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung ( FAZ) del 2/7. “ Ma se i Paesi industrializzati diventano consapevoli” del fatto che “anche l’Africa è un elemento importante per l’economia mondiale, il summit di Kananaskis ha avuto un senso. Sebbene sia giusto pretendere che gli stessi Paesi africani facciano qualcosa per un futuro migliore – prosegue – è necessaria anche un’autocritica di quel che fanno i Paesi industrializzati. Per molti, la globalizzazione è in realtà solo un sinonimo di liberismo“. Sulla Frankfurter Rundschau del 27/6 Brigitte Kols annota a proposito del piano d’azione: “ Vi sono buone ragioni per non bocciare l’iniziativa. Qualsiasi cosa facciano gli Stati ai vertici, le speranze vengono dalla base. È là che l’Africa lavora a se stessa e per se stessa“. “ L’ultima chance dell’Africa“, titola lo Spiegel n. 27/2002 del 1/7: “ In soli 75 minuti i rappresentanti dei ricchi e dei poveri hanno siglato un accordo preparato in mesi di lavoro, che riporta l’Africa al centro dell’attenzione”, scrivono Ulrich Deupmann, Harald Schumann e Birgit Schwarz. “Democratizzazione, riforma degli apparati statali, libertà economica e una nuova prosperità per l’Africa: è possibile?“, si chiedono gli autori. “ I segni del cambiamento sono evidenti in molti luoghi“, osservano. “ Ma perché il sogno di un rinascimento africano divenga realtà, i governi dell’Africa debbono dimostrare di poter realizzare realmente le riforme“.