Verso Firenze 2015
Colloquio a tutto campo con il segretario generale della Cei alla vigilia del Convegno ecclesiale nazionale. “Nel percorso verso Firenze si è vista una Chiesa che gradualmente si è messa in cammino insieme”. Su Vatileaks: “Ho l’impressione che qualcuno stia perdendo la calma per il rinnovamento voluto da Papa Francesco, e prima da Benedetto XVI, e si sfoghi appropriandosi di documenti riservati e scrivendo libri”
C’è grande attesa per l’ormai imminente 5° Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Firenze, dal 9 al 13 novembre, sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. L’attesa emerge anche dal colloquio che il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ci ha riservato proprio alla vigilia di questo importante appuntamento e in occasione del lancio del nuovo sito del Sir.
Eccellenza, che tipo di Chiesa si sta incamminando verso il Convegno di Firenze?
“Una Chiesa che si aspetta molto da se stessa, che cerca un luogo in cui fare discernimento insieme, come ha indicato il Papa ai vescovi italiani durante l’assemblea generale del maggio scorso. E dico ciò attingendo a due tipi di esperienze che ho vissuto. La prima è quella che mi ha portato in giro in diverse diocesi italiane, dove è stato messo a tema per i convegni ecclesiali lo stesso argomento che verrà affrontato a livello nazionale. Ho notato comunità desiderose di cogliere con chiarezza quale tipo di novità, per metodo e contenuti, intende portare il Convegno ecclesiale. E ho percepito, in maniera molto chiara, una sorta di ‘fastidio’ verso quei convegni cosiddetti ‘accademici’: c’è, infatti, una sorta di ‘convegnite’ acuta che non tocca solo la Chiesa ma un po’ tutte le realtà. Oggi, invece, la gente ha bisogno di ritrovarsi, di discernere, di dialogare; ha bisogno di idee e di percorsi chiari. L’altra esperienza riguarda il lavoro condotto dalla presidenza e dalla giunta del Convegno nazionale: un impegno davvero straordinario e di coinvolgimento di molte realtà ecclesiali, ma anche non direttamente legate alla Chiesa. Davvero c’è un fervore intellettuale, di passione verso questo appuntamento”.
Il cammino di preparazione ha confermato la vitalità e la creatività delle diocesi. È il segno che si sta andando verso quel “camminare insieme” tanto invocato da Papa Francesco?
“Sicuramente sì. Le risposte e i contributi arrivati dalle diocesi al Comitato preparatorio sono segno della volontà di sentirsi coinvolti, di vedere una Chiesa che non cammina a compartimenti stagni, che non cammina per eventi. Viviamo tempi complessi e la nostra Chiesa non può rispondere alla complessità con la semplificazione degli eventi fine a se stessi. Nel percorso verso Firenze si è vista, invece, una Chiesa che gradualmente si è messa in cammino. Non tutte le comunità – è chiaro – hanno risposto allo stesso livello e con lo stesso entusiasmo. Globalmente, però, si può dire che c’è un’attesa bella e, quindi, questo è un modo attraverso il quale la Chiesa italiana sta facendo quel cammino insieme. Certo, non è iniziato ora, ma in questo momento si vede di più, lo si percepisce in maniera più chiara”.
C’è grande attesa per il discorso che terrà il Papa a Firenze. Quali le sue aspettative?
“Sentendo gli interventi del Santo Padre, vedendo anche i suoi gesti e quanto ci ha detto durante l’ultima assemblea generale della Cei parlando proprio di Firenze, penso che il Papa ancora una volta c’inviterà a fare opera di discernimento e di verifica rispetto a due tipi di attese: in quale maniera la Chiesa italiana sta coniugando l’incontro tra fede e storia? E come si sta misurando con il mondo contemporaneo? Molto spesso – senza dare giudizi, ma con grande umiltà e serenità – c’è da denunciare quell’atteggiamento per cui si pensa di essere Chiesa prescindendo da ciò che avviene intorno a noi, con il rischio di fare proposte e con un linguaggio che dicono niente agli uomini e alle donne d’oggi. Non si tratta di cedere alla contemporaneità, ma – come c’invita il Concilio Ecumenico Vaticano II, soprattutto nella Gaudium et Spes – di essere uomini e donne di Vangelo, che vogliono annunciarlo e testimoniarlo all’uomo di oggi. La Chiesa a Firenze vuole, dunque, verificare il suo rapporto con il mondo contemporaneo”.
Nel discorso all’ultima assemblea generale della Cei, parlando della sensibilità ecclesiale, il Papa ha anche dato un’indicazione di metodo che potrebbe essere valida per Firenze e per il futuro. Ha detto tra l’altro:
“(…) Si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare”… “Queste parole del Papa ci sollecitano a prendere le distanze dalla ‘convegnite acuta’. Cosa voglio dire? Molto spesso davanti a certe situazioni si risponde organizzando Commissioni, tavole rotonde, convegni, che sono diversivi rispetto alla realtà. Le parole di Francesco ci aiutano, allora, a stare attenti a non cadere in questa trappola del convegno come un diversivo dalla vita di ogni giorno. Di qui la necessità che l’appuntamento di Firenze sia l’incontro di persone reali, di esigenze vere, di speranze avvertite seriamente. Insomma, che
non sia una parentesi nella vita della Chiesa”.
Vuole anche aprirsi un cammino di sinodalità?
“Dobbiamo guardare all’esperienza del Sinodo appena concluso, in cui sono emerse chiaramente la vitalità, la bellezza, ma anche la fatica che comporta il cammino della sinodalità. Può sembrare difficile che un Convegno con 2.500 partecipanti si presti subito, in quattro giorni, a realizzare un’esperienza di ascolto reciproco e di sinodalità, ma il modo in cui è stato organizzato può aiutare. Non ci saranno più, infatti, come in passato, quattro o cinque gruppi composti da cinquecento persone che ascoltano un’ulteriore conferenza. Ci sarà una formula molto più articolata: per ben trentasei ore non più di dieci persone, provenienti da esperienze ecclesiali diverse, si confronteranno su uno stesso tema, con le medesime domande. La gente potrà parlarsi e si vivrà una bella esperienza di ascolto intorno a temi di grande rilevanza. Guardando al dopo, mi auguro che non ci sia alcun documento conclusivo o messaggio al popolo di Dio. Invece,
sarebbe bello che la Chiesa italiana affrontasse un’esperienza che da troppo tempo non fa: un Sinodo nazionale.
Questo non significa realizzare delle celebrazioni, ma imparare un metodo. Non vedo perché noi, a Firenze, non dobbiamo non solo fare esperienza di Sinodo, ma anche proseguire su questa strada”.
Cosa lascerà Firenze alla Chiesa italiana e alla società? Ci sarà un gesto concreto a mo’ di “eredità”?
“Non so cosa lascerà il Convegno ecclesiale, proprio perché mi dispongo all’ascolto sinodale. Comunque sia, se parliamo di modo di essere Chiesa, mi auguro che lasci proprio il desiderio di una Chiesa che si ascolta di più e ascolta di più. E, di conseguenza, che si faccia ascoltare di più, tenendo fermo il messaggio evangelico, attraverso un linguaggio adeguato e segni adeguati. Mi auguro, poi, che dal Convegno di Firenze emergano alcuni impegni che, proprio perché abbiamo guardato al Cristo – come recita il titolo – aiutino a trasformare gradualmente le situazioni di umanesimo negato in situazioni di umanesimo riuscito. A Firenze non si partirà da zero. Non ci raduneremo per scoprire la nostra missione, ma per fare discernimento sul modo in cui oggi stiamo vivendo la nostra vocazione, la nostra missione. Infine, il Convegno lascerà delle opere-segno per prendere coscienza, ancora una volta, dei tanti umanesimi negati che in Cristo diventano umanesimi riusciti”.
Il Convegno si svolge a poco meno di un mese dall’inizio del Giubileo. La misericordia può essere l’architrave per il nuovo umanesimo?
“Sì! Il Papa ce lo sta dicendo continuamente. La misericordia può essere l’architrave del nuovo umanesimo, proprio perché è l’architrave del Vangelo, è l’architrave della nostra esperienza religiosa. Una fede che non contempli un posto privilegiato alla misericordia finisce per essere una religione che non ha radicamento nella Scrittura. Questa, infatti, è il racconto di un amore. Bello, al riguardo, il titolo che Rosmini dava a un suo volume sulla storia della Chiesa: ‘Storia dell’amore’. La Bibbia è questo! E la nostra esperienza, se è vera e reale, non può che essere tale”.
Eccellenza, un’ultima considerazione: cosa ne pensa di Vatileaks?
“È sintomatico come in questo momento per creare difficoltà alla Chiesa e alla sua immagine – perché, non illudiamoci, dietro c’è questo – si stia attingendo al passato. Vuol dire che
la spinta di Papa Francesco, e prima di Benedetto, sta portando i suoi frutti.
Ho l’impressione che qualcuno stia perdendo la calma per questo rinnovamento e si sfoghi appropriandosi di documenti riservati e scrivendo libri. Mi piacerebbe dire all’ineffabile Fittipaldi e all’ineffabile – per due volte – Nuzzi: è possibile conoscere le cifre delle vostre grandi operazioni editoriali? Io, al posto loro, poco poco mi vergognerei a fare le pulci agli altri in maniera ideologica, senza guardare a se stessi. Meno male che alcuni giornali seri stanno mostrando tutte le contraddizioni di operazioni di questo genere. Di fondo, ripeto, c’è il fatto che ad alcuni dà fastidio che ci sia una Chiesa cattolica che, in questo momento, parla in modo più chiaro rispetto al passato, chiamando le cose con il loro nome”.