Cultura
Il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ospiterà, dal 6 dicembre 2015 fino al 31 gennaio 2016, importanti reperti in arrivo dal museo nazionale del Bardo di Tunisi, colpito lo scorso 18 marzo dal terrorismo fondamentalista. Le opere, spiegano i curatori dell’esposizione, dialogheranno con i manufatti aquilesi a sottolineare i legami che caratterizzavano il Nord Africa e l’alto Adriatico in età romana, nell’ambito di una circolazione di culture e di religioni che abbracciava tutto il bacino del Mediterraneo
Dal 6 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016, il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia ospiterà importanti reperti in arrivo dal Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, colpito lo scorso 18 marzo dal terrorismo fondamentalista, per la mostra “Il Bardo ad Aquileia”. L’esposizione è realizzata dalla Fondazione “Aquileia” e, come scrive nella prefazione al catalogo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “è l’ affermazione che solo attraverso la riproposizione dei valori della cultura e della storia comune sarà possibile sconfiggere la cieca violenza e la barbarie di chi vorrebbe proporre infondati scontri di civiltà”. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Antonio Zanardi Landi, dal febbraio scorso presidente della Fondazione “Aquileia”, dopo essere stato in passato – fra l’altro – ambasciatore italiano in Russia e presso la Santa Sede e consigliere diplomatico dei presidenti della Repubblica Napolitano e Mattarella.
Come nasce il progetto “Archeologia ferita”?
L’idea è nata in occasione della visita del presidente Mattarella a Tunisi il 18 maggio scorso. Dopo il discorso dinanzi al Parlamento tunisino, il presidente si è recato a visitare il museo del Bardo: un gesto di omaggio alle vittime della violenza di due mesi prima. Parlando con gli esponenti del governo tunisino abbiamo convenuto che quello era stato un attacco portato non solo a quel Paese ma alla stessa possibilità di convivenza fra portatori di visioni del mondo diverse. Da alcuni mesi ero già stato nominato presidente della Fondazione “Aquileia” e mi è sembrato naturale proporre l’allestimento di
una mostra del Bardo proprio ad Aquileia considerati i legami che l’alto Adriatico ha storicamente avuto con il Nord Africa.
Sarà l’avvio di un progetto (che abbiamo chiamato “Archeologia ferita”) per portare in quella città opere d’arte provenienti da musei e siti colpiti in tutto il mondo dal fondamentalismo terrorista traendo spunto dalle scoperte archeologiche per un messaggio di tolleranza e convivenza.
La cultura come strada che porta alla tolleranza…
Con “Archeologia ferita” intendiamo focalizzare l’attenzione su una tolleranza che non può essere considerata patrimonio esclusivamente nostro: ci sono stati periodi storici in cui essa è stata minore in Europa che in Medio Oriente o nel Nord-Africa. Vogliamo dare un sentimento alla nostra percezione di essere tutti nella stessa barca: non siamo noi i maestri della tolleranza e non possiamo presentarci nei confronti dei popoli dell’altra sponda del Mediterraneo come gli unici suoi depositari, quasi essa costituisca parte da sempre del nostro patrimonio.
La tolleranza è un filo rosso che nella storia dell’Europa segue l’andamento di un fiume carsico: scompare e ricompare, tocca punte molto alte e altre molto basse.
Abbiamo visto questo filo rosso rispuntare dopo la seconda guerra mondiale e abbiamo pensato si trattasse di un patrimonio acquisito per l’umanità “ad infinitum”. Oggi constatiamo con costernazione che esso tende nuovamente a scomparire: è importante, allora, ricercarlo insieme alla componente moderata dell’Islam.
La cultura fa paura agli estremisti perché è anche attraverso di essa che gli estremismi possono essere sconfitti?
La cultura è per se stessa dialogo e confronto con la realtà o con realtà diverse e quindi rappresenta l’arma principale da usare nei confronti del fondamentalismo terrorista e del nichilismo che affiora intorno a noi. Quella della “battaglia culturale” è un’idea richiamata più volte dal presidente Mattarella e dai membri del nostro Governo: ora bisogna vedere come darle corpo per renderla incisiva. L’Isis e i fondamentalismi non si possono vincere solo con le autoblindo e i droni ma è necessario andare alle radici di un fenomeno che troppo spesso non ci è comprensibile. Noi conosciamo le sue “giustificazioni” – in qualche modo mediate e storiche – inerenti magari il rapporto fra sciiti e sunniti o quello fra i vari Paesi del Medio Oriente ma la sua radice tende a non esserci percepibile fino in fondo.
Quindi una battaglia culturale di comprensione e definizione del rapporto fra la cultura occidentale e quella del mondo islamico è assolutamente fondamentale. E lo è ancora di più se teniamo presente quanto la nostra cultura sia debitrice a quella araba e islamica: ci sono stati momenti in cui queste due realtà dialogavano in maniera intensa e proficua per l’umanità.
Le tecniche adottate dal fondamentalismo rischiano di costituire un vortice negativo perché è chiaro che ogni attentato e ogni decapitazione tendono a causare un irrigidimento da parte occidentale e, quindi, ad aggravare il sentimento di estraneità e di incomunicabilità fra i due mondi: dobbiamo essere capaci di riscoprire un fermento culturale che inneschi processi positivi e che non conduca alla contrapposizione del muro contro muro.