Libertà di pensiero
Il Parlamento europeo ha assegnato il riconoscimento per i diritti umani all’attivista che, mediante internet, ha posto il problema della libera espressione del pensiero nel mondo arabo. La giovane moglie, che vive in esilio con i tre figli, ha ritirato il premio a Strasburgo. I timori per il futuro della famiglia e la speranza di poter vivere in Canada
“Sono fiera di mio marito, di quello che ha fatto. Ha espresso liberamente e con parole sempre rispettose il suo pensiero, ha invocato la libertà, per tutti. Se tornassimo indietro lo sosterrei ancora e gli direi di ripercorrere la stessa strada”. Ensaf Haidar è una giovane donna saudita, moglie dell’attivista per i diritti umani Raif Badawi, condannato nel suo Paese a 10 anni di carcere duro, mille frustate e a una multa pari a 300mila dollari: gli è stato contestato un reato di blasfemia, ma in realtà ha solo animato un forum on line con riflessioni e discussioni sulla vita in Arabia e nel mondo, sulla politica, la cultura, i diritti umani, le fedi religiose.
“Nessuno ti dimentica”. “Raif ha avuto il coraggio di alzare la voce e dire no alla barbarie. Ecco perché lo hanno punito. Mio marito non è un criminale, è uno scrittore e un libero pensatore: questo è il suo solo crimine, quello di essere una voce libera in un Paese che non accetta altro che il pensiero unico”.Ensaf Haidar arriva dal Canada – dove vive in esilio con i suoi tre figli, dagli 8 agli 11 anni – a Strasburgo per ritirare il Premio Sakharov 2015 per la libertà di pensiero, un riconoscimento che nel tempo il Parlamento europeo ha assegnato a personalità del calibro di Nelson Mandela, Leyla Zana, Alexander Dubcek, Aung San Suu Kyi, a Medici senza frontiere, al personale Onu, alla giovane Malala Yousafzai. Ora Strasburgo volge lo sguardo al mondo arabo e, al contempo, a internet, quasi a indicare la necessità di un incontro tra le società tradizionali e la più moderna delle “agorà”. Haidar è una donna libera, colta (ha fra l’altro studiato islamismo), risoluta, preoccupata della salute del marito e del futuro dei figli. Quelle poche volte che è stato concesso a Badawi di telefonare a casa, chiedendo se i figli lo avessero dimenticato, lei lo ha rassicurato: “I nostri bambini ti ricordano sempre, nessuno ti dimentica, sei un simbolo dei diritti umani nel mondo”. Proprio la Rete è il veicolo sul quale corre la storia di Raif, in carcere da tre anni, frustato sulla pubblica piazza in mezzo a una folla esultante. “Non sappiamo molto di lui, le notizie sono frammentarie, a volte contraddittorie. Ci dicono che il suo fascicolo è stato visto dal Re in persona, poi veniamo a sapere che è stato tradotto in un carcere per pene definitive”.
“Vorremmo vivere in Canada”. La storia della famiglia Badawi assomiglia, purtroppo, a tante altre: famiglie in esodo da Africa e Medio Oriente, in fuga dall’oppressione, dalla fame, da guerre e povertà. A queste famiglie – le chiediamo – quale messaggio manderebbe? La prudenza sembra prendere il sopravvento: “Io sono qui per dar voce alla causa di mio marito. Lo vorremmo vedere liberato così da raggiungerci in Canada e vivere là, con noi. Non credo di aver diritto di parlare a nome di altri”. In effetti la posizione della famiglia è delicatissima: ogni parola di troppo potrebbe ricadere su Raif. Eppure a Ensaf non manca la forza di riprendere, con voce sottile, a tratti segnata dall’emozione, il filo del discorso. Prima ricorda le “50 frustate sull’esile corpo di mio marito”, poi rilancia: “I liberi pensatori arabi devono nascondere le proprie idee. Le idee libere sono considerate blasfeme nell’ideologia adottata dalle società arabe, in cui ogni pensiero libero è decadenza e una deviazione rispetto a un certo modo di interpretare la religione islamica”.
È una donna che subisce una contraddizione forte: ama la sua terra, ma è costretta alla lontananza.
Un grazie all’Europa. Nell’emiciclo del Parlamento europeo l’attende un’ovazione: appena presa la parola chiede “un minuto per le vittime degli attentati di Parigi e per tutte le vittime della violenza”. Cala il silenzio assoluto. Poi un discorso breve, in cui ricorda il valore dei diritti umani. Dà voce al marito, ne cita alcuni testi (“la libertà di pensiero è come l’aria che respiriamo”; “a chi augura la morte noi auguriamo la vita, a chi vuole l’ignoranza auguriamo di tornare alla ragione”), ma con tratto misurato e modesto non si appropria mai delle sue battaglie. Lo sostiene, lo indica come esempio, per poi ritrarsi in disparte. Poi ringrazia l’Europarlamento: “Spero che questo premio faccia conoscere la vicenda di mio marito e ne favorisca la liberazione”.
Appello a Re Salman. Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, è al fianco di Ensaf Haidar. Dice: “Badawi è diventato un simbolo e un riferimento per tutti quelli che combattono per i diritti fondamentali”. “Nonostante i rischi, attraverso la sua attività di blogger ha sempre incoraggiato il pensiero libero”. E conclude: “Chiediamo a Re Salman d’Arabia Saudita di liberare immediatamente e incondizionatamente Raif Badawi e di sospendere la detenzione e la condanna a morte” per tutti gli altri attivisti dei diritti umani in Arabia. Ensaf, quasi defilata, aggiunge poche parole di saluto in francese. E riparte da Strasburgo “con una speranza più forte”.