Vip in primo piano
La riunione dei capi di Stato e di governo dell’Unione ha affrontato temi rilevanti: emergenza-profughi, sicurezza e terrorismo, governance economica e Unione bancaria, politica estera, Unione dell’energia. A Bruxelles si è parlato anche di Brexit e di riforme comunitarie. Ma alcuni politici più di altri hanno attirato l’attenzione dei media
Ogni Consiglio europeo ha i suoi protagonisti e la cronaca dei summit degli ultimi anni indica ad esempio gli exploit dei vari Sarkozy, Blair, Zapatero, Berlusconi, Schroeder, fino a Tsipras e Hollande. Il vertice del 17-18 dicembre 2015 ci consegna, invece, altri “vip”, peraltro già in prima fila nelle sessioni recenti. Se ne possono passare in rassegna almeno tre: Merkel, Renzi e Cameron.
Cancelliera “corteggiata”. La cancelliera tedesca è sempre al centro dell’attenzione. Volente o nolente rappresenta il Paese più grande dell’Unione, il “motore economico”, il centro geografico e demografico. Merkel è forte di una stabilità politica interna che gli altri leader le invidiano e, in era travagliata e di crisi, è stata votata per ben tre volte dai suoi concittadini. Dunque quando arriva a Bruxelles mostra una certa tendenza a “dettare la linea”: sull’accoglienza dei migranti, sull’Unione bancaria e sui salvataggi bancari, sui rapporti con la Turchia, sul contrasto al terrorismo, sul Ttip, sull’istituzione della Guardia di frontiera europea, sulla politica estera, sulla costruzione delle infrastrutture energetiche (North Stream), sulle riforme necessarie per mantenere il Regno Unito nell’Unione… La cancelliera è ben conscia della sua posizione “dominante”, così come sa bene che l’Europa emersa dalla recessione e in preda alla minaccia nazionalista e populista ha bisogno di leader di statura continentale. Neanche a dirlo, si autoassegna il ruolo di timoniere, considerate pure le difficoltà momentanee in cui si dibattono i tradizionali altri partner di primo piano: ossia il francese Hollande (alle prese col terrorismo, la guerra in Siria, il fiato sul collo del Front National e un’immagine appannata sul piano interno) e il britannico Cameron (diviso tra la volontà di abbandonare l’Ue e quella di tenersi ben stretta l’Europa).
Renzi non ci sta. Poi c’è il premier italiano, Matteo Renzi, sicuro di sé, capace di illustrare con convinzione i successi e le promesse del suo governo, proprio mentre a Roma l’Esecutivo incassa una larga fiducia sul caso-Boschi. Appena mette piede a Bruxelles, Renzi infila una serie di dichiarazioni tutte in chiave anti-Merkel, salvo poi, chiudendo la conferenza stampa di fine summit, confessare ai giornalisti presenti: “Vado molto d’accordo con Angela”. Eppure il presidente del Consiglio elenca puntualmente tutti i temi che lo dividono dal governo tedesco: accoglienza rifugiati, aiuti di Stato alle banche in crisi, costruzione del “terzo pilastro dell’Unione bancaria” (fondo di garanzia sui depositi), realizzazione del gasdotto North Stream (con maggiore dipendenza dal gas russo), conferma o meno delle sanzioni a Mosca. Non c’è tema che – apparentemente – oggi unisca Roma con Berlino. Renzi puntualizza, prima di lasciare il palazzo Justus Lipsius, tutte le sue comprensibili e giustificate ragioni. Benché lasci aperto un punto: come mai tutti accorrono alla corte della Merkel, mentre l’Italia prende la strada opposta? Forse la risposta sta in un’altra frase di fine conferenza stampa: “Nei prossimi due anni l’Italia deve essere più presente nel dibattito politico europeo”, cioè deve pesare di più. La stessa Merkel, a pochi passi da Renzi, rilascia le sue dichiarazioni: “Il vertice Ue è un posto noto per lo scambio di diverse visioni. L’Italia è per la comunione dei depositi e vorrebbe partecipare a South Stream; anche la Bulgaria ha obiezioni”. Quindi cita i salvataggi bancari e la propria visione di Unione bancaria, con idee distanti da quelle di Renzi. “Non è la prima volta – aggiunge sorniona – che abbiamo diverse opinioni, ma alla fine troviamo un accordo”.
Intanto Cameron… Infine il premier britannico, arrivato a Bruxelles con quattro “cestini”, panieri, “basket” come dice lui, da riempire con le promesse Ue. Quattro tanti sono i settori in cui David Cameron ha chiesto all’Europa comunitaria di “cambiare”, così da aiutarlo a “convincere gli elettori britannici a votare sì” al referendum sul cosiddetto Brexit, ovvero sulla permanenza del Regno di Elisabetta nella “casa comune”. Referendum che – per dirla tutta – lo stesso Cameron aveva spacciato tra il 2014 e i primi mesi del 2015 per convincere gli inglesi a ridargli fiducia come premier alle elezioni tenutesi la scorsa primavera. Operazione riuscita, certo: maggioranza assoluta ai Tories, che ora governano senza l’imbarazzo di una coalizione. Però le promesse vanno mantenute, e il referendum è atteso entro il 2017. “Vogliamo cambiare l’Europa per poterci rimanere”, ha spiegato con orgoglio Cameron. Salvo invocare subito la benevolenza dei partner, dato che le sue pretese di riforma in alcuni casi appaiono ragionevoli (equilibrio tra i Paesi dell’Eurozona e quelli che mantengono la valuta nazionale; completamento del mercato unico, meno burocratico e più competitivo), in altri comprensibili (possibilità per il Regno Unito di scansare una maggiore integrazione comunitaria; maggior potere ai parlamenti nazionali nel processo legislativo dell’Unione), in altri irricevibili (considerare i lavoratori Ue alla stregua di “stranieri”, con meno garanzie sociali rispetto ai propri lavoratori). Infine anche Cameron riparte, come Merkel e Renzi, da Bruxelles spacciando risultati pro domo sua.