Cittadini e politica

Europa in surplace ma indispensabile. Il valore aggiunto di una comunicazione “pedagogica”

L’Ue arranca, eppure sotto la spinta delle crisi, l’integrazione avanza. La crisi finanziaria ha generato una unione bancaria; quella migratoria sta imponendo la riflessione sui confini nazionali e comuni. La necessità di dare realmente seguito alle decisioni assunte, di recuperare i valori condivisi e di superare evidenti disfunzioni politiche e burocratiche. Senza trascurare – per aggirare gli europopulismi – una nuova narrazione in grado di spiegare una realtà complessa

Telecamera a Strasburgo

La crisi dell’Europa non smette di approfondirsi da anni, sotto i colpi delle assurdità del funzionamento delle istituzioni europee, di crisi a ripetizione (economica, finanziaria, monetaria, migratoria, “terroristica”), dei timori di un’ampia parte delle popolazioni di fronte alla globalizzazione, della demagogia semplicista dei populismi. Le recenti elezioni regionali in Francia hanno confermato la potenza del discorso antieuropeistico e il pericolo che minaccia l’Europa: il pessimismo è dappertutto, con la paura dell’alterità e il ripiegamento su se stessi, e assume il volto di un nuovo nazionalismo.
Eppure, l’Europa è più che mai necessaria, urgente. L’11 novembre 1948, trent’anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, e poco tempo dopo la fine della seconda, Papa Pio XII parlò al Congresso dei federalisti europei, della “urgenza” della costruzione europea. Oggi, siamo tornati a una nuova urgenza: costruire une vera unione europea che non si fermi a metà strada.
Difatti, il problema fondamentale viene dal fatto che le decisioni più audaci giungono raramente fino alla loro conclusione. L’Europa, ad esempio, ha creato une moneta comune, ma senza accompagnarla con tutte le misure necessarie per far vivere tale moneta, che si limita in realtà ai biglietti e ai soldi che abbiamo in tasca: une moneta comune priva di una politica economica e fiscale comune, senza regole comuni!
Ancora: l’Europa ha creato delle istituzioni politiche comuni, un Parlamento, un governo (la Commissione), un sistema giudiziario; ma le istituzioni si “raddoppiano” spesso, si accavallano, e non si sa bene chi governi: il presidente della Commissione, il presidente del Consiglio europeo, il presidente di turno per sei mesi?
Ulteriore esempio: un ministro degli Esteri europeo è stato nominato (col titolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune), ma i Paesi membri dell’Unione mantengono ciascuno la propria politica estera, che è spesso in contraddizione con quella di un altro Stato membro.
Anche la Commissione non è, in effetti, il “governo” dell’Europa comunitaria. Sono gli Stati che decidono: l’organo supremo di governo è il Consiglio europeo che riunisce i capi di Stato o di governo; la Commissione è innanzitutto l’esecutore delle decisioni degli Stati.
Lo spazio di Schengen illustra, a sua volta, perfettamente questa Europa mai compiuta: uno spazio di libera circolazione interna impone il controllo dei confini esterni dell’intera Europa. Tale controllo era previsto negli accordi del 1995. Eppure non esiste nella realtà. Gli Stati Uniti d’America conoscono la libera circolazione all’interno della federazione americana, ma il controllo all’entrata è severo.

Certo, sotto la spinta delle crisi, l’integrazione avanza:

la crisi finanziaria ha provocato la creazione di un’unione bancaria più approfondita e ha gradatamente avviato una comune governance economica e di bilancio. La crisi migratoria sta imponendo una riflessione degli Stati sui confini nazionali e comuni. Ma l’Europa resta vittima di queste disfunzioni. Così pure della sua amnesia. Sono dimenticati i suoi successi politici e diplomatici (la riconciliazione, la pace), economici (la politica agricola), tecnici (Airbus, Arianespace, il sistema Galileo…), universitari (Erasmus). Ugualmente sono dimenticate le origini dell’Europa, a partire dalle tragedie e dai disastri ereditati dalle guerre.

L’Europa è vittima della mancanza di una coscienza europea.

Gli Stati festeggiano la fine delle guerre, ma non l’inizio dell’unione. In Francia, l’8 maggio è festivo, per celebrare la fine della vittoria sulla Germania, ma non il 9, giorno della Dichiarazione di Robert Schuman che ha costruito una pace inedita in Europa fino a oggi.
Per questo l’Europa ha bisogno di una rifondazione: istituzioni chiare nei loro compiti e trasparenti, con un funzionamento che deve essere compreso da tutti i cittadini; riforme che non si fermino a metà percorso; e una comunicazione “pedagogica”, che sappia spiegare una realtà europea complessa per definizione. Una “narrazione europea” che restituisca ai cittadini europei l’orgoglio di aver costruito una unione senza precedenti nella storia dell’umanità, superando secoli di conflitti per far crescere uno spazio di pace.