GRECIA, UN ALTRO VOTO
Gli ultimi sondaggi davano Syriza e Nea Dimokratia testa a testa, attorno al 25% dei consensi. Poi, alle spalle della sinistra del premier Alexis Tsipras e del centrodestra di Vangelis Meimarakis, una pletora di partiti più o meno consolidati (dallo storico Pasok socialista, ad Alba Dorata di destra estrema, fino al nuovo To Potami), il cui primo obiettivo è quello di superare lo sbarramento del 3% per entrare nel Parlamento di Atene, comprendente 300 seggi. Così i greci tornano domenica 20 settembre alle urne per la quarta volta dall’inizio della crisi economica che ha messo i lavoratori fuori dal sistema produttivo, le famiglie in ginocchio e ha fatto dei conti statali un vero e proprio colabrodo. L’Europa – benché tardi – ha lanciato i suoi salvagenti (tre piani di aiuti finanziari), ma nel frattempo la realtà sociale ellenica si sgretolava e la politica perdeva credibilità agli occhi dei cittadini. Oggi mettere insieme il pranzo con la cena è un’impresa ardua per la metà della popolazione greca.Il premier Tsipras, eletto a furor di popolo solo 8 mesi fa e indirettamente confermato nella fiducia degli elettori con il referendum di inizio luglio (vittoria del "no" al piano di dolorose riforme in cambio di una nuova pioggia di soldi dall’Ue), arriva logorato a questa prova del voto. Forse ha fatto il possibile per salvare i greci dalle grinfie europee, ma si è dovuto più volte rimangiare la parola, per poi riconoscere che il problema greco non nasce a Bruxelles, ma ad Atene. Il Paese ha bisogno di pesanti riforme e di una guida politica illuminata e credibile, tanto da poter chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini e avviando una nuova fase della vita nazionale, la sola strada per rimettere in sella la Grecia.La campagna elettorale è stata peraltro sotto tono. Non perché mancassero argomenti (economia, lavoro, riforma delle pensioni, dimagrimento della pubblica amministrazione, migranti, lotta a privilegi e corruzione…), semmai perché da subito è parso che fossero le proposte veramente innovative a scarseggiare. E poi, comprensibilmente, perché i greci devono avere le tasche piene di promesse elettorali!Una cosa è certa: le elezioni di per sé non risolvono i problemi di un Paese. Di nessun Paese. Ma possono contribuire alla scelta di una classe dirigente capace di immaginare e di realizzare una svolta positiva. Magari badando meno a sondaggi e slogan populisti e di più alle reali esigenze della gente. Senza trascurare il dovere di rispettare gli impegni internazionali.La scelta, insomma, non è fra dracma o euro; semmai è "dentro o fuori l’Europa"? Non è neppure fra sacrifici e non sacrifici, bensì fra dare o non dare un futuro alle prossime generazioni di greci? Atene – comunque vadano le elezioni – può ripartire solo da qui.