Profughi e accoglienza
Le centinaia di migliaia di persone che arrivano in Europa fuggendo da fame, povertà e guerra, richiedono un impegno straordinario e solidale da parte degli Stati. Allo stesso modo la comunità cristiana è sollecitata a farsi prossima. Senza trascurare il fatto che ogni situazione nazionale può richiedere risposte differenti a seconda della pluralità delle circostanze
La guerra, soprattutto quando a questa si associa la persecuzione per motivi religiosi o etnici, e la povertà, specialmente in Paesi dove la vita politica è molto instabile, distruggono la stabilità di un Paese e portano la gente a migrare, a fuggire dalla propria terra per la sopravvivenza.
Appare evidente pertanto come qualunque decisione o qualsiasi soluzione politica che si vuole fornire alla questione dei rifugiati che giungono in Europa oggi, non può non avere come priorità quella di affrontare i problemi che sono all’origine di questo esodo di massa, promuovendo innanzitutto pace e sviluppo.
Nell’affrontare la questione dei migranti e dei rifugiati, bisogna innanzitutto tenere in mente con umiltà la complessità delle cause e delle situazioni. Siamo di fronte a un fenomeno di cui non si conosce appieno la profondità delle cause, e per cui neanche gli Stati possono prevedere quali saranno gli esiti. Tale situazione esige quindi che gli Stati assumano per primi la loro responsabilità nella gestione di questa “crisi” con una politica che non può essere demagogica. Dispongono infatti di mezzi e di informazioni, sconosciuti ai più, che permette loro di individuare correttamente la risposta da dare. Chiediamo alle autorità civili di basare le loro decisioni su un giudizio accurato e preciso, che tenga conto della dignità della persona, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà, oltre alla drammaticità e all’insieme dei fattori che sono alla base della situazione attuale.
Si tratta di un vero discernimento, che guarda innanzitutto alla realtà e la confronta con quei principi morali indispensabili allorché si definiscano adeguate politiche e azioni sociali.
La Chiesa, a sua volta, non è soltanto spettatrice.
A cominciare dallo stesso Papa Francesco, sono molti i cristiani che cercano di accompagnare, aiutare e, quando è necessario, attirare profeticamente l’attenzione affinché nessuna dimensione della persona e delle comunità siano dimenticate. La fede in Gesù Cristo, che è la forza che muove i cristiani, non sarebbe vera se non spingesse alla cura dell’altro. Il cristiano non può, come ricorda spesso Papa Francesco, essere indifferente e rimanere inerte, o agire al contrario secondo quanto promuovono gruppi di pressione o ideologie che non sono radicate nella realtà ma perseguono altri scopi.
La Chiesa in Europa, e più precisamente la Chiesa nei diversi Paesi europei, è molto presente attraverso le tante opere di carità, come testimonia un recente rapporto preparato dal Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) insieme all’Icmc (Commissione internazionale cattolica per le migrazioni). Si può sempre dire che la Chiesa faccia di più, ma sarebbe sbagliato dire che non è già impegnata.Nella sua azione, la Chiesa deve tenere presente due esigenze. Una prima esigenza, è quella della risposta incondizionata: laddove c’è sofferenza, è necessario che ci sia una carità intelligente ed effettiva; ma ce n’è una seconda: l’unità della Chiesa. L’unità si manifesta proprio nel fatto che ognuno, partendo dalla stessa fede e dalla stessa passione per la persona umana, è chiamato a proporre e concretizzare azioni adeguate alla propria realtà in dialogo continuo con le Chiese sofferenti di provenienza. L’unità di cui parliamo, quindi, si regge non sul fatto che tutti facciano lo stesso, ma che tutti vivano guidati dallo Spirito Santo che, vedendo la pluralità delle circostanze, “costruisce la comunione e l’armonia del popolo di Dio” (Francesco, Evangelii gaudium 117).
Dobbiamo evitare le accuse reciproche che possano sembrare di voler affermare che una comunità sia più brava dell’altra, o pretendere una risposta univoca, omologata, che non tenga conto della diversità delle realtà sociali di ogni Paese europeo. Per questo motivo, è necessario approfondire sempre di più la conoscenza dell’altro, ciò che accade quando si partecipa agli incontri organizzati da organismi ecclesiali internazionali. Essi sono spazi di testimonianza di quanto accade, degli interrogativi e delle risposte di ogni realtà ecclesiale, e spesso costituiscono occasioni per promuovere nuove iniziative e scoprire insieme altre vie di collaborazione.
Esempio di questo lavoro ecclesiale, attento alla carità e all’unità, è stata la dichiarazione dell’Assemblea plenaria del Ccee dello scorso mese di settembre. I diversi presidenti delle Conferenze episcopali presenti in Terra Santa, dopo un intenso dialogo, si sono sentiti maggiormente impegnati, solidali e più consapevoli non solo della necessità dell’azione, ma anche dell’ambito della loro azione. Hanno infatti affermato (Messaggio dell’Assemblea plenaria, 16 settembre 2015): “La complessità di questo esodo, con le sue inevitabili differenziazioni, richiede da parte dei singoli Stati, le cui situazioni sono radicalmente diverse, molta attenzione al fine di rispondere tempestivamente alle necessità di aiuto immediato e di accoglienza di persone disperate a causa di guerra, persecuzione, miseria. Gli Stati, attraverso le istituzioni necessarie, devono mantenere l’ordine pubblico, garantire la giustizia per tutti e offrire una generosa disponibilità per chi ha veramente bisogno, nella prospettiva anche di una integrazione rispettosa e collaborativa. Grande è l’impegno delle Chiese d’Europa che, seguendo le indicazioni del Santo Padre Francesco, collaborano con gli Stati, i quali sono i primi responsabili della vita sociale ed economica dei loro popoli. Le molte esperienze già in atto incoraggiano a proseguire e intensificare ogni sforzo”.
(*) segretario generale Ccee