SCELTI DA PAPA FRANCESCO

Don Saulo e don Roberto, due parroci al Sinodo con l’odore delle famiglie

A sorpresa, nell’elenco dei partecipanti alla XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi compaiono due parroci italiani, provenienti da Perugia e Trieste. Dal 3 ottobre siederanno insieme a cardinali e vescovi di ogni continente per un’assise che si preannuncia già come una svolta storica per la famiglia

“Bisogna coniugare verità e misericordia, ma partendo dalla misericordia”, che è prima di tutto “ascolto delle singole persone”. Non ha dubbi monsignor Saulo Scarabattoli, nel formulare il suo auspicio per il prossimo Sinodo. Potrà farlo di persona, a partire dal 3 ottobre, quando siederà insieme a cardinali e vescovi di ogni continente per un’assise che si preannuncia già come una svolta storica per la famiglia. “Don Saulo”, come lo chiamano tutti, è uno dei due parroci che figura nell’elenco dei partecipanti alla XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi: tra i 45 membri di nomina pontificia, c’è lui, parroco a Perugia, e monsignor Roberto Rosa, parroco a Trieste, che in questi giorni si trova a Gerusalemme e al quale sono arrivate le congratulazioni della diocesi, insieme all’auspicio che “sappia offrire, con saggezza pastorale, un contributo illuminante ai prossimi lavori del Sinodo”. Pastori che hanno l’odore delle pecore, li definirebbe Papa Francesco, non abituati al clamore delle prime pagine ma avvezzi a pascolare il proprio popolo. E lungo la strada, non c’è davvero differenza tra centro e periferia. Il grido e il pianto. “È ovvio che già lo sapevamo”, dice don Saulo anche a nome del suo “collega” don Roberto, “ma abbiamo avuto un’eco aperta della notizia dalla reazione della gente che telefonava per rallegrarsi, senza però sapere che siamo stati chiamati ad un ruolo onorevole ma delicato, un ruolo di responsabilità”. Don Saulo è parroco da quasi 50 anni nella parrocchia di Santo Spirito e da 20 anni è cappellano della sezione femminile del Carcere di Perugia. “Mi sento umilmente utile – ci dice – per portare al Sinodo un grido, e anche un pianto, dalle situazioni che conosco”. Quando traccia l’identikit della sua parrocchia, 2.800 abitanti nel centro della città, con una fascia antica di abitazioni ed una di case nuove, una popolazione stabile e non di passaggio, a parte gli studenti ospitati in alcune zone del centro storico – si sente che non riesce a parlarne con distacco. È la sua vita, e per raccontare usa un paragone: “È come in famiglia, i genitori hanno bisogno dei figli e i figli hanno bisogno dei genitori, i genitori imparano grazie ai figli e viceversa”. E poi ancora una similitudine all’insegna dell’innamoramento: “Sono uscito dal seminario come un giovane che incontra una realtà che non conosce, un giovane che incontra la donna con cui vivrà tutta la vita. All’inizio non conoscevo bene la parrocchia, poi come avviene in una famiglia si approfondiscono i rapporti, le relazioni reciproche, e ognuno modella l’altro”. E poi il carcere, dove don Saulo incontra “situazioni estreme, periferie: un concentrato di sofferenza, di umanità che raccoglie il grido di tutti noi, sia nelle colpe e nelle responsabilità, sia nel subire le conseguenze delle azioni o delle situazioni che hanno portato queste persone tra le sbarre”. Quelle cicatrici delle donne di cui parla il Papa nella lettera a mons. Fisichella per l’indulgenza giubilare, come quelle procurate dall’aborto che marchiano per sempre a ferro e fuoco, don Saulo le conosce bene. Bambini che corrono all’altare. “Sono molto contento della mia parrocchia, penso come ogni parroco”. Per un periodo, in città don Saulo è stato parroco di tre parrocchie: nell’anno trascorso a Roma ha collaborato con la parrocchia di San Ponziano, alla Bufalotta. “Come tutti i parroci”, ci tiene a sottolineare, è molto attivo nella pastorale familiare: “È la famiglia la protagonista della pastorale. Tutti insieme si va alla Messa, da tempo non facciamo più le messe dei ragazzi. Le famiglie che vengono a Messa con i bambini trovano un tappeto magico – come lo chiamiamo noi – cioè uno spazio in chiesa dove i bambini, anche i più piccoli, disegnano, colorano, ritagliano… Al Padre Nostro, però, corrono tutti verso l’altare”, per recitarlo insieme al sacerdote e all’assemblea. I giovani che scelgono la parrocchia del Santo Spirito per i corsi di preparazione al matrimonio possono continuare anche dopo: ci sono due gruppi per famiglie per due fasce d’età, quella delle giovani coppie e con figli piccoli e quella delle coppie più “navigate”, magari con entrambi i componenti già nonni. E l’invito del Papa ad accogliere una famiglia di profughi? “Li abbiamo nel cuore da sempre”, risponde don Saulo: “In parrocchia ci sono due monolocali che già da 15 anni sono a disposizione delle persone in difficoltà”. Oggi ci vivono due donne rumene. “Altri spazi non ne abbiamo”: ma don Saulo non demorde, con la Caritas sta cercando altri spazi da offrire per rispondere all’invito di Francesco. “Lo condivido in pieno, noi in qualche modo lo abbiamo anticipato”. Camminare insieme. Un’occasione per “camminare insieme, guidati da Qualcosa che ci indica la strada”. Così don Roberto riassumeva i tre anni del Sinodo celebrato nella sua diocesi. Ora avrà l’occasione di viverne uno dai confini universali, ma l’icona che preferisce resta sempre quella dei discepoli di Emmaus, che “lasciandosi guidare, sono riusciti a scoprire il senso della propria storia proprio alla luce della fede”. Don Roberto guida a Trieste la parrocchia di san Giacomo, 12 mila abitanti, ed è Vicario per la pastorale. A don Roberto piace la parola “appartenenza”, che è anzitutto “fiducia” nel Signore. Sarà l’effetto Bergoglio, ma Trieste da qualche anno ha invertito la rotta, lasciandosi alle spalle la crisi delle vocazioni: sono una trentina attualmente i candidati al sacerdozio. Don Roberto, che si occupa anche della formazione dei seminaristi, porterà con sé anche loro, le loro storie di vita, che in gran parte parlano di persone cresciute in parrocchia e con alle spalle famiglie aperte alla possibile incursione del Signore. Una “fioritura” che promette bene, anche per l’esito futuro del Sinodo.