Viaggio apostolico
Una lettura tra le righe delle parole pronunciate durante la conferenza stampa che Papa Francesco ha tenuto, come di consuetudine, con i giornalisti nell’aereo che lo stava riportando a Roma, si possono trovare alcune sottolineature importanti che vale la pena di mettere in evidenza
Leggendo tra le righe delle parole pronunciate durante la conferenza stampa che Papa Francesco ha tenuto, come di consuetudine, con i giornalisti nell’aereo che lo stava riportando a Roma, si possono trovare alcune sottolineature importanti che vale la pena di mettere in evidenza.
Prima fra tutti la sua volontà di continuare il cammino del dialogo ecumenico e interreligioso. Così rispondendo ad una domanda sull’incontro storico con il Patriarca Kirill, Francesco entra anche nel più complesso tema dei rapporti tra Mosca e Ucraina. L’appuntamento del Sinodo panortodosso, che si svolgerà a Creta il prossimo giugno, sarà l’occasione per un nuovo passo nel cammino verso la piena unità. A Creta ci saranno degli osservatori della Chiesa cattolica invitati per l’occasione e il Papa sarà presente con un messaggio e dietro agli inviati vaticani “ci sarò io, con la preghiera e i migliori auguri perché gli ortodossi vadano avanti. Sono fratelli, i loro vescovi sono vescovi. Cirillo è mio fratello, ci siamo abbracciati e baciati”. Ci tiene poi a ricordare che tra loro due, all’aeroporto di Cuba, c’è stato un lungo colloquio, durato due ore, nel quale hanno parlato come fratelli della situazione delle due Chiese.
Ma non aggiunge nulla in più alle parole che ha già detto a noi giornalisti durante il viaggio da Cuba in Messico, quasi a proteggere un cammino che, nella ricerca di un dialogo, porti alla fine della divisione tra le due Chiese, e che ha bisogno più di silenzi che di parole, più di preghiera che di discorsi.
E in questa risposta si possono cogliere due preoccupazioni: quella rivolta ai greco-cattolici e alle dichiarazioni dell’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Schevchuk, che Francesco conosce bene per aver lavorato con lui per quattro anni a Buenos Aires, e l’ipotesi di un viaggio a Mosca. Sulle affermazioni dell’arcivescovo ucraino, Francesco coglie soprattutto l’aspetto dell’unione con Roma e analizza le parole alla luce del conflitto che vede contrapporsi Russia e Ucraina e dice: è un momento di guerra e di sofferenze; e ricorda che tante volte “ho manifestato la mia vicinanza al popolo ucraino”. Poi, per chiarire meglio, aggiunge che nel documento – “opinabile” dice – sulla questione Ucraina si chiede di fermare la guerra e di andare avanti con gli accordi di Minsk, firmati nel 2014, e “non si cancelli con il gomito quello che è stato scritto con le mani”.
Per il viaggio sogno di Papa Wojtyla e speranza di Benedetto XVI, Francesco è ancora più prudente, proprio per non rompere un equilibrio difficile e una sottile opportunità. Così afferma: “Preferirei che quello che ci siamo detti da soli sia solo quello che abbiamo detto in pubblico… Ma posso dire che io ne sono uscito felice, e anche lui”.
Sul dialogo interreligioso l’attenzione si sposta al Cairo e all’ipotesi avanzata da alcuni giornali di un possibile incontro con il gran Imam sunnita dell’Università di al-Azhar, dopo anni in cui i rapporti con il Vaticano erano stati interrotti. Il Papa in aereo dice: “Io voglio incontrarlo e so che a lui piacerebbe. Stiamo cercando il modo, tramite il cardinale Tauran (che è presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso) e quella è la strada, ce la faremo”.
Altro aspetto da evidenziare nelle parole del Papa in aereo, il rapporto con la politica. Francesco, nel 2013, incontrando i vescovi della Conferenza episcopale italiana aveva detto loro che le questioni relative al rapporto con il mondo politico e il Governo italiano erano nelle loro mani. Lo ribadisce parlando con i giornalisti, ma aggiunge anche che
è importante che i cattolici impegnati in politica siano consapevoli delle scelte che fanno e che le loro scelte siano guidate da una coscienza “ben formata”, così il modo di votare, riferendosi alla domanda che prevedeva una risposta su come comportarsi al momento del voto sulle unioni civili.
È un passo già compiuto in altri Paesi, dice Francesco, ma il parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza “ben formata, perché non è la coscienza del quello che mi pare”.
Un’ultima questione, infine, da evidenziare: la famiglia e la questione dei sacramenti ai divorziati risposati. Ci sono stati due Sinodi, ricorda, e un anno di lavoro tra i due appuntamenti. Con la libertà che gli è propria, Francesco afferma che nel documento post sinodale si riprenderanno i temi affrontati nei due Sinodi, in modo particolare su quanto detto in merito a conflitti, famiglie ferite e relativa pastorale loro dedicata. Ma dietro a tutto questo c’è il grande tema della preparazione al matrimonio, e Francesco ricorda: per diventare prete si studia otto anni e poi se non ce la fai si chiede la dispensa. “Invece per un sacramento che dura tutta la vita, solo tre o quattro incontri”, la Chiesa non ha valutato questo aspetto. Così riprende una parola chiave del Sinodo: integrare. Si tratta per Francesco di integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite. In questa chiave si può leggere anche la questione della comunione ai divorziati. Non si tratta di una “onorificenza”: “È un lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte, ma non si può dire che possono fare la comunione, perché questo sarebbe una ferita per tutti i matrimoni e non farebbe fare loro quel cammino di integrazione”. E se c’è qualcosa in più, afferma ancora il Papa, “lo dirà il Signore. È una strada, un cammino”.