Sud America

Referendum costituzionale in Bolivia. Evo Morales verso la sconfitta

I risultati ufficiali ancora mancano, a quasi due giorni dalla chiusura dei seggi. Ma pare che il Presidente boliviano abbia perso la sua sfida e che il “No” abbia vinto il Referendum voluto da Morales per ottenere una modifica della Costituzione ed estendere, per le principali autorità dello Stato, la possibilità di portare da due a tre i possibili mandati consecutivi. All’85% dello scrutinio (ma mancano molti dati delle regioni amazzoniche favorevoli al Presidente) il “No” è al 54%. Per l’arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, monsignor Sergio Gualberti Calandrina, “stiamo ancora vivendo l’adolescenza della democrazia”

L’inverno terribile dell’izquierda (la sinistra) sudamericana si completa in Bolivia. Dopo la fine del kirchnerismo in Argentina, gli scandali che in Brasile hanno minato la fiducia nella presidente Dilma Roussef, la pesante sconfitta del partito chávista alle elezioni parlamentari in Venezuela, ecco arrivare la doccia fredda su Evo Morales in occasione del referendum costituzionale di domenica scorsa. Bisogna dire che, stranamente, i risultati ufficiali ancora mancano, a quasi due giorni dalla chiusura dei seggi. E su queste anomale lentezze e alcune irregolarità riscontrate si sono puntati gli occhi delle organizzazioni internazionali. Ma pare proprio che il Presidente boliviano abbia perso la sua sfida e che il “No” abbia vinto il Referendum voluto da Morales per ottenere una modifica della Costituzione ed estendere, per le principali autorità dello Stato, la possibilità di portare da due a tre i possibili mandati consecutivi. All’85% dello scrutinio (ma mancano molti dati delle regioni amazzoniche favorevoli al Presidente) il “No” è al 54%; le prime stime lo davano al 52% e Morales non ha ancora riconosciuto la sconfitta. Ma se anche dal cilindro del Tribunale supremo elettorale uscisse una risicata vittoria del “Sì”, il dato politico sarebbe il mancato plebiscito sulla figura del leader incontrastato del Paese. Il quale in realtà è già al suo terzo mandato (il primo, dal 2006 al 2009, è antecedente all’approvazione della nuova Costituzione). E puntava a ricandidarsi nel 2019. Un’ipotesi che però non è piaciuta a molti boliviani, che pure avevano sempre votato con alte percentuali Morales. Probabilmente, proprio un certo “culto della personalità”, quasi una “chávizzazione” dell’ex sindacalista dei cocaleros, è ciò che ha allarmato molti. In particolare, nelle grandi città la vittoria del No è stata netta.

Un dibattito molto acceso. Anche la Chiesa boliviana è stata spettatrice attenta. Pur senza prendere finora una posizione esplicita, la Conferenza episcopale ha emesso mercoledì 17 febbraio un comunicato, nel quale invitava i cittadini a votare con libertà e responsabilità. Nei giorni scorsi il Sir ha avvicinato monsignor Sergio Gualberti Calandrina, bergamasco di origine, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra. “In genere – ci dice – la società boliviana partecipa molto ai processi elettorali, e questo referendum non ha fatto eccezione (87% di votanti, ndr). La popolazione si è polarizzata. Gli uni legittimavano la tesi di una ‘democrazia sostantiva’, secondo la quale il Governo lascia in mano al popolo la decisione di cambiare la Costituzione. Gli altri appoggiavano la tesi della ‘democrazia procedimentale’, secondo cui l’alternanza nel potere è un valore imprescindibile della democrazia stessa. Il dibattito è stato molto acceso”.

Tante questioni irrisolte. Chiediamo a mons. Gualberti se l’avvento di uomini nuovi potrebbe essere auspicabile. “In ogni Paese –  risponde – l’avvicendamento delle autorità e l’avvento di nuove persone nella vita politica e sociale è sempre garanzia di democrazia. E questo vale ancor di più in un Paese come la Bolivia, che vive in democrazia da trent’anni solamente. Stiamo vivendo l’adolescenza della democrazia, con tante speranze, ma anche con tante contraddizioni, è sempre presente la tentazione del caudillismo e dell’autoritarismo. Inoltre i cambiamenti che la globalizzazione sta portando rapidamente richiedono autorità che sappiano rispondere alle molte sfide che pone questa realtà”. E nel Paese tante questioni restano irrisolte. “Va detto – riflette l’arcivescovo – che non sono mancati risultati significativi in questi dieci anni di Governo del Movimento Al Socialismo, come l’inserimento a pieno titolo degli indigeni nella vita del Paese e come la diminuzione della mortalità infantile e l’accesso all’educazione di quasi la totalità delle nuove generazioni. Anche a livello economico abbiamo un epoca di ‘vacche grasse’ con una crescita del Pil superiore al 5%”. Tuttavia, “questi benefici non si sono distribuiti in maniera equa, favorendo principalmente settori legati al Governo, e neppure sono stati investiti per la crescita dei settori produttivi. Dall’anno scorso, si avvertono gli effetti della crisi mondiale e, in particolare, del ribasso dei prezzi del petrolio e dei minerali, problema che si ripercuote come sempre nei settori e gruppi più poveri”. Ancora, “ci sono altre pendenze gravi e urgenti, come la corruzione generalizzata, il narcotrafffico, la giustizia sottomessa al potere politico, la violenza privata e pubblica”.

E’ visibile l’effetto Francesco. Tra i segni di speranza, gli effetti positivi lasciati dal viaggio di Papa Francesco, che ha visitato tra l’altro Santa Cruz de la Sierra: “I molti gesti e le parole di vicinanza e semplicità di Papa Francesco hanno lasciato profonde tracce di amore e gratitudine, tracce che ci hanno riempito di gioia e speranza, in particolare i poveri e gli emarginati. La sua testimonianza ha animato tutti a continuare nella ricerca sincera di unità e libertà, per superare tensioni, conflitti e divisioni che rendono difficile la marcia del Paese. A livello ecclesiale, poi, il Papa ci ha chiamati a essere una Chiesa più aperta, dialogante, impegnata con gli scarti della società, una Chiesa missionaria. Molti laici, in particolare i giovani, hanno rafforzato il loro impegno ecclesiale. Quest’anno un buon numero di giovani della Bolivia orientale ha chiesto di essere accolto al Seminario di Santa Cruz, dopo vari anni di crisi vocazionale”.