Guerra in Siria
Il racconto del viaggio in Siria del presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanisław Gadecki, scampato per poco all’attentato dello Stato islamico avvenuto a Damasco il 21 febbraio che ha provocato decine di vittime. Non solo morte e distruzione ma anche una grande testimonianza di fede dei cristiani siriani. L’aiuto della Chiesa polacca con oltre 2,2 milioni di euro, a cristiani e musulmani
“Abbiamo udito delle esplosioni piuttosto forti ma eravamo già abituati a sentirle tutti i giorni salvo il venerdì che c’era silenzio. Sentivamo anche dei singoli spari e quelli dell’artiglieria pesante”. Comincia così il racconto del presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanisław Gadecki, del suo viaggio in Siria dal 17 al 22 febbraio. Una visita ecclesiale, per portare solidarietà alla popolazione provata da 5 anni di conflitto, che ha visto il presule visitare anche il Libano insieme a don Waldemar Cisło, direttore della sezione polacca di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Ma, al tempo stesso, rischiare la vita per l’attacco terroristico a Damasco del 21 febbraio, rivendicato dallo Stato Islamico, che ha provocato decine di morti. Un attentato da cui è scampato per un nulla. Il presule, infatti, è riuscito a partire poco prima dello scoppio. Rientrato in Polonia il presidente dei vescovi polacchi ci racconta in esclusiva il suo viaggio che lo ha portato, tra le varie mete, anche nel villaggio di Malula, antica capitale aramaica e cuore pulsante della presenza dei cristiani siriani.
Il simbolo di tutti i luoghi della cristianità. “Malula – dice mons. Gadecki – costituisce oggi il simbolo di tutti i luoghi della cristianità che sono stati attaccati direttamente dallo Stato Islamico e che hanno subito dei danni molto pesanti. La presa di controllo di quella piccola città di circa 2mila abitanti – spiega il vescovo – è stata un’operazione molto semplice. Sopra la città si erge una collina dove è stato costruito un albergo. Ed è stato proprio quell’albergo a essere attaccato e preso per primo. Non v’è stata alcuna azione di difesa della città. In pericolo si trovarono soprattutto i militari che facevano la guardia alle porte della città e sono stati proprio loro i primi ad essere uccisi. Successivamente, con la collaborazione dei musulmani dei villaggi vicini, è iniziata l’eliminazione dei cristiani da quei territori”. Gadecki racconta anche della fuga dei suoi abitanti e delle case e chiese danneggiate e bruciate. “Nel monastero di S. Tecla, situato fuori città, è rimasta intatta tutta la collezione delle icone. Le immagini sacre sono state fatte cadere a terra e successivamente ricoperte dalle macerie e dai calcinacci, e forse per questo rimaste miracolosamente intatte, nonostante l’incendio appiccato al monastero. Abbiamo fatto visita anche alla parrocchia. Adesso gli abitanti ritornano ma non sono più del 43% di coloro che prima della guerra hanno vissuto in città.
La vita della parrocchia è rinata grazie alla ricostruzione della chiesa bassa che adesso svolge la sua funzione di luogo di culto”.
Un progetto per le famiglie. Tra le visite anche quella a una casa ricostruita grazie alla Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), esempio del progetto voluto dal patriarca greco-cattolico, Gregorios III Laham, che prevede la ricostruzione di almeno un vano per ogni famiglia. In questo modo ogni nucleo familiare che ottiene un tetto può successivamente lavorare alla ricostruzione di tutta la casa per riprendere una vita normale. Ma gli edifici distrutti sono tanti. Molti quelli bombardati dall’esercito del presidente Assad. Anche scuole. “I terroristi – racconta Gadecki – avevano occupato una scuola e l’esercito regolare, per riprenderla ha distrutto completamente l’intero edificio.
I media occidentali ne parlano come se fosse l’esempio delle distruzioni da parte dell’esercito regolare in avanzata, ma durante una guerra civile questo avviene. Nessuno è in grado di separare i musulmani dai cristiani e durante gli attacchi purtroppo ci sono anche vittime civili. Bisogna tenerne conto quando si commentano in modo fazioso le distruzioni fatte”.
La situazione è migliore a Damasco, la capitale siriana. Almeno in apparenza. “Nella quotidianità i bambini vanno a scuola, gli adulti al lavoro e la gente sembra non fare più caso agli scontri. Il dramma accade solo se tocca qualcuno da vicino. Al termine di una liturgia abbiamo parlato con un uomo che era stato rapito ed era tornato solo dopo due anni. Suo fratello, rapito anche lui, non è stato liberato e della sua sorte non si sa nulla. Non si sa nemmeno se è ancora vivo. Si dice che sono state rapite oltre 20mila persone. Se i terroristi vedono che qualcuno ha i soldi perché, per esempio, ha una farmacia o un’impresa lo rapiscono per chiedere il riscatto. Qualcuno mi ha fatto anche notare che non bisogna pagarlo, nonostante tutto, perché altrimenti le rapine diventeranno un’abituale fonte di guadagno dei terroristi”. Nonostante la situazione drammatica il presidente dei vescovi polacchi riferisce del
“grande entusiasmo della fede dei cristiani siriani. Abbiamo pregato per coloro che hanno perso la vita e per quelli che soffrono”.
Negli ultimi due anni le offerte raccolte nelle parrocchie in Polonia destinate ai siriani sono state 10 milioni di zloty (oltre 2,2 milioni di euro). Aiuti che vanno a centinaia di migliaia di persone, non solo cristiane, come confermano dalla Conferenza episcopale polacca.