Scandalo in Brasile

Mani Pulite in salsa carioca: le tangenti sul petrolio imbrattano il “mito” di Lula

Un autentico scacco al re. L’enorme Tangentopoli brasiliana, imperniata sulle tangenti pagate dal colosso petrolifero statale Petrobas,  si spinge fino ai livelli più impensati. Dopo aver sfiorato la presidente Dilma Rousseff, travolge in pieno il suo predecessore e indiscusso leader storico del Partito dei Lavoratori: Luìz Inácio Lula da Silva. Lui si difende e dichiara l’estraneità ai fatti contestati dai magistrati, ma il sogno di partecipare alla corsa per le Presidenziali del 2019 subisce un gravissimo colpo

Luiz Inácio Lula da Silva

Scacco al re. L’enorme Tangentopoli brasiliana, imperniata sulle tangenti pagate dal colosso petrolifero statale Petrobas,  si spinge fino ai livelli più impensati. Dopo aver sfiorato la presidente Dilma Rousseff, travolge in pieno il suo predecessore e indiscusso leader storico del Partito dei Lavoratori:Luìz Inácio Lula da Silva: prima sindacalista, poi capo di partito, e, dal 2003 al 2001, presidente della Repubblica del più grande Stato dell’America Latina.

Una figura di rilievo continentale se non planetario, capace di incarnare una sinistra vicina al popolo, insieme di lotta e di governo.

Ebbene, quello stesso Lula – che da qualche mese stava preparando il suo grande ritorno e ambiva a ricandidarsi alle Presidenziali nel 2019 – è stato ieri mattina all’alba prelevato dalla sua abitazione dalle forze dell’ordine, che lo hanno forzatamente accompagnato dai magistrati dell’indagine Lava-Jato (autolavaggio), che lo attendevano in una sala dell’aeroporto di Congonhas, a San Paolo. Un’operazione di grande impatto scenografico (si parla dell’intervento di duecento agenti), mentre l’abitazione dell’ex presidente veniva meticolosamente perquisita.

Tangenti miliardarie. “Ci sono elementi di prova che l’ex capo di Stato abbia ricevuto denaro proveniente dallo schema interno a Petrobras”, scrivono gli inquirenti in una nota. Il filone, come accennato, è quello dello scandalo Petrobas, che nell’ultimo biennio ha coinvolto decine di politici, compresi ministri e alti dirigenti.

Secondo i magistrati, i dirigenti della compagnia petrolifera statale avrebbero gonfiato i contratti relativi a nuove infrastrutture e guadagnare almeno 2 miliardi di dollari: denaro servito in parte per finanziare la campagna elettorale del Partito dei lavoratori.

Alla fine dell’interrogatorio Lula è stato liberato ed ha affermato di non aver nulla da temere e di non aver fatto nulla di male, ma ha attaccato i magistrati per aver messo in atto un’operazione “inutile e spettacolare”. E ha detto di essersi sentito “prigioniero”. Anche la presidente Rousseff, in serata, ha rotto il silenzio ed ha difeso il suo predecessore.

La “Mani pulite carioca”. “Lo scandalo dura da tempo e ormai si era capito che i magistrati miravano ai livelli alti”, commenta Renata Bueno, parlamentare italo-brasiliana eletta a Montecitorio nella circoscrizione estera. La raggiungiamo proprio nel momento in cui è appena atterrata a Curitiba, città del sud del Brasile della quale è originaria, ma anche la città dove opera Sérgio Moro, il “Di Pietro” dell’operazione Lava-Jato. Bueno fa notare alcune consonanze con l’operazione Mani pulite che terremotò la politica italiana: “I magistrati procedono per gradi, cercando di far confessare i politici via via coinvolti concedendo sconti di pena. Certo, il Partito dei lavoratori in questi anni ha avuto una grande forza, ma ha dovuto fare delle campagne elettorali molto dispendiose per conservare il potere. Certo, la situazione oggi è molto difficile: la Petrobas è in crisi, molte industrie sono fallite, si vive una grossa crisi economica. E tutto questo mentre il Governo è paralizzato e la gente sempre più arrabbiata. Però, io dico che il male deve uscire per poter ricostruire su basi nuove”.

Corruzione, battaglia culturale prima che politica. Edgar Serrano, manager didattico per il Master internazionale in Sviluppo locale dell’Università di Padova, commenta in modo severo gli scandali che coinvolgono il partito di Governo in Brasile: “Personalmente, credo che se ci sono elementi oggettivi che condurranno ad una responsabilità di Lula, è giusto che l’ex presidente paghi. Vale per lui, come per tutti. Ma io penso che sia l’ora, per tutto il continente latino-americano, di ‘risvegliarsi’ da questa corruzione generalizzata. Serrano cita le recenti sconfitte dei partiti e dei leader della sinistra di governo in Argentina, Venezuela e Bolivia: “In tutto il continente la gente si lamenta soprattutto della corruzione, chiede trasparenza e responsabilità. Quella contro la corruzione è una battaglia culturale, prima che politica. Mi auguro che quanto sta succedendo sia una sveglia per tutti, me temo che emergeranno altri casi, non solo in Brasile”.

Possibile effetto domino. Un ciclone che arriva al suo massimo grado proprio nell’anno delle Olimpiadi. Dovevano essere la vetrina per la definitiva consacrazione di un Paese in grande ascesa, invece “si rischia l’effetto domino davanti allo sguardo di tutto il mondo”, spiega Serrano. In effetti

il caso Lula ha due effetti politici immediati: indebolire ulteriormente la posizione della presidente Rousseff, per la quale già gli oppositori hanno chiesto l’impeachment; e tagliare le gambe all’ipotesi di ricandidatura dell’ex presidente,

che pure nel Paese continua ad avere un certo seguito (anche ieri ci sono state numerose manifestazioni in sua difesa). “Lula avrebbe avuto notevoli possibilità di tornare a vincere – conclude Serrano -. Se non sarà della partita è probabile che in Brasile, come è accaduto in Argentina, ci sia una svolta a destra”.