Tra passato e presente
Tra rinascimento e barocco, un papa e un architetto rivoluzionano Roma a tempo di record. Ne parla Roberto Dragosei, architetto dei nostri giorni, secondo il quale oggi mancano proprio la capacità di guardare in prospettiva e di realizzare i progetti in tempi brevi. Con il risultato di opere pubbliche inutili o cattivo impiego delle risorse. Due suggerimenti al ministro dei Beni culturali. E meno male che per i tesori d’arte (e gli interventi caritativi) della Chiesa esiste l’otto per mille: “Quanto costerebbe allo Stato tutto quello che fa la Chiesa?”
Capacità di visione e di realizzazione. Quando due titani uniscono intelligenza, anzi genio, e capacità di tradurre le idee in realtà i risultati non possono che essere sfolgoranti. Nella qualità e nella tempistica.
Cinque anni, cinque mesi e due giorni di pontificato (1585 – 1590) sono bastati al francescano Sisto V (Felice Peretti) e al suo architetto e ingegnere di fiducia, il ticinese Domenico Fontana (1543 – 1607), per modernizzare il volto di Roma rivoluzionandone l’urbanistica e facendo della città eterna il modello ispiratore, tre secoli dopo, di Georges Eugène Haussmann nella risistemazione di Parigi.
A raccontarne le gesta – il completamento della cupola di san Pietro e lo spostamento dell’obelisco davanti alla basilica, la sistemazione degli obelischi insabbiati, l’acquedotto Felice, i rettifili che il Pontefice volle “dritti come spade” attraverso i fatiscenti quartieri medioevali per far correre le carrozze, per citarne solo alcune – è Roberto Dragosei, anch’egli architetto e innamorato di Roma. Dalla copertina del volume, intitolato “Il papa & l’architetto” (Gangemi editore), i due protagonisti sembrano rivolgere in modo sornione uno sguardo d’intesa al lettore.
Perché raccontare questa storia?
Per rendere giustizia a Sisto V, genio non sufficientemente riconosciuto, autentico visionario
che non solo ha rivoluzionato Roma e riordinato lo Stato pontificio, ma ha anche dato un nuovo assetto alla Curia fissando a 70 il numero dei cardinali e istituendo – in alcuni casi riorganizzando – alcune Congregazioni.
A Sisto V si deve anche la bolla “Christiana pietas” (1586) con cui “ammorbidisce” le disposizioni restrittive dei suoi predecessori verso gli ebrei…
Sì, una dimostrazione di apertura e simpatia nei confronti della comunità ebraica alla quale consente di rientrare nello Stato della Chiesa dal quale era stata bandita. Il Papa supera i pregiudizi dell’epoca, ma non solo verso gli ebrei: si preoccupa anche di migliorare le condizioni di vita del popolo promuovendo diverse opere sociali e concependo il progetto – per fortuna mai realizzato perché avrebbe massacrato il Colosseo – di costruire all’interno dell’anfiteatro Flavio un grande opificio-comunità per la lavorazione della lana, nel quale i lavoratori godessero di alloggio gratuito.
Insomma, un outstanding…
Sì, quella sintesi di intelligenza e spregiudicatezza – intesa come assenza di pregiudizio – che appartiene solo a un fuoriclasse e deve spesso fare i conti con i preconcetti dell’intellighenzia contemporanea. Doti stupefacenti in chi, come lui, è stato teologo del Concilio di Trento, inquisitore, compilatore delle liste dei libri all’Indice (59). Tuttavia, anche Fontana fu a lungo vittima dell’ostilità dell’ “accademia degli addetti ai lavori”, architetti e urbanisti. Oggi forse quest’ostilità non ci sarebbe più ma i problemi sono altri…
Quali?
I tempi di esecuzione delle opere sono biblici e, come dimostrano le ultime committenze importanti di Roma, manca una visione, una prospettiva.
A che cosa si riferisce?
Ultimamente sono state realizzate opere ben risolte sotto il profilo architettonico ma inutili, come i due musei d’arte contemporanea Maxxi e Macro, progetti in sé notevoli ma moltiplicazioni di strutture già esistenti. Oppure opere di indubbia utilità ma discutibili dal punto di vista progettuale, come l’esterno dell’Auditorium. O ancora, realizzazioni che sembrano avere come unico fine il desiderio di lasciare un’impronta di sé, come la vicenda dell’Ara pacis, esempio di pessimo impiego di risorse pubbliche per una soluzione che ha soffocato la piazza.
In Italia si contano oltre 46mila beni vincolati, a fronte di esigue risorse statali. Al riguardo, lei ha di recente inviato una proposta al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini…
Sì, finalizzata ad una migliore gestione-conservazione dei nostri beni, almeno di quelli dichiarati patrimonio dell’umanità, attraverso l’avvio di un piano internazionale di gemellaggio-tutoring tra l’Italia e Paesi amanti delle nostre bellezze.
Penso anzitutto ad un gemellaggio tra Villa Adriana a Tivoli – i cui muri sono a rischio crollo – e la città di Berlino, naturalmente studiando un “contratto” di cessione di diritti di “affitto” per un certo numero di anni.
Ma al ministro ho inviato anche una seconda proposta mirata a rendere più “leggibili” ai visitatori i nostri monumenti costruendo ex-novo e in scala reale una quinta di come erano alle origini. Un esempio per tutti:
realizzare all’interno del Colosseo, nella cavea mal restaurata e priva di gradinate, uno “spicchio” di arena e gradinate per consentire agli spaesati visitatori di farsi una chiara idea di che cosa fosse l’anfiteatro originario.
Tornando alla conservazione dei beni culturali: nel nostro Paese circa il 70% del patrimonio artistico è di carattere religioso; alla sua tutela e restauro nel 2015 sono stati destinati 60 milioni dei fondi derivanti dall’otto per mille.
Non è molto. Lo dico da cattolico non praticante, anzi da laico clericale ed ecclesiale che si trova a dover difendere la Chiesa – anche da molti cattolici osservanti – quando si ripresenta ciclicamente il tormentone dell’otto per mille o dell’Imu, facendo loro presente quanto fa la Chiesa in materia di carità, assistenza ai poveri, promozione sociale, tutela e restauro dei suoi edifici e tesori d’arte.
E’ giusto, anzi sacrosanto che vi sia l’otto per mille. Quanto costerebbe allo Stato tutto quello che fa la Chiesa?