Politica internazionale

Elezioni in Perù: Keiko Fujimori ci riprova. Dopo il primo turno è in testa

Al ballottaggio del 5 giugno Fujimori se la vedrà con un politico esperto: l’economista centrista Pedro Pablo Kuczynski, attestato poco sopra il 21%. Queste elezioni sono arrivate in un contesto di frenata economica dopo anni di aumento consistente del Pil. Alla tornata elettorale hanno guardato con preoccupazione, ma anche con qualche speranza, quelle realtà che si occupano in primo luogo di difendere le popolazioni indigene e di custodire il creato, di fronte ai continui progetti di attività estrattive

La figlia del dittatore ci riprova. Keiko Fujimori, sconfitta di misura cinque anni fa, è in testa dopo il primo turno delle elezioni presidenziali in Perù. Nonostante le crescenti polemiche e le manifestazioni contro di lei in tutto il Paese, la leader di “Fuerza Popular” (formazione di centrodestra) è in testa, con il 39,6% dei voti, a scrutinio praticamente completato. Al ballottaggio del 5 giugno se la vedrà con un politico esperto, da tempo sulla scena politica peruviana, a dispetto del nome della sua lista, “Peruanos por el Kambio”: l’economista centrista Pedro Pablo Kuczynski, attestato poco sopra al 21%. Settantasette anni, più volte ministro, era candidato alla presidenza anche 5 anni fa, quando fu per poco escluso dal ballottaggio. Non è riuscita la rimonta alla trentacinquenne Verónica Mendoza, leader della sinistra ambientalista (“El Frente Amplio”), capace d’imporsi nel suo campo, che si presentava più che mai diviso, e di passare in due mesi dal 3% dei sondaggi a quasi il 19% di domenica.

Frammentazione politica, sfiducia e crisi economica. Si è trattato finora di una campagna elettorale non esaltante, caratterizzata da grande frammentazione (19 candidati, rimasti poi in 10 tra rinunce ed esclusioni), litigiosità tra i candidati – che nella maggior parte dei casi hanno portato avanti slogan più che programmi realizzabili, come denunciato dall’episcopato ancora in febbraio -, crescente sfiducia della popolazione. Democrazia fragile quella peruviana, che non ha saputo trovare veri e propri leader dopo la cacciata, nel 2000, del dittatore Alberto Fujimori. Del resto, la stessa Costituzione esclude che un presidente possa fare due mandati consecutivi. È per questo che il presidente Ollanta Humala, esponente di un mix tra sinistra e nazionalismo, non poteva ripresentarsi. Mente gli ex presidenti Alan García e Alejandro Toledo sono rimasti entrambi ben sotto il 10%.
Ma queste elezioni sono arrivate anche in un contesto di frenata economica dopo anni di aumento consistente del Pil. Del resto, il crollo del prezzo delle materie prime, petrolio e minerali, non può che ripercuotersi sull’economia del Paese considerato la “miniera del mondo”. Da questa situazione ha tratto giovamento la proposta politica della Fujimori, che rispetto a cinque anni fa si è fatta più scaltra, cercando maggiormente il consenso dei ceti popolari e provando a smarcarsi dall’ingombrante eredità del padre Alberto, che sta scontando 25 anni di carcere. Keiko ha ammesso che il padre “ha fatto degli errori” ed ha escluso di concedergli l’amnistia se sarà presidente. Ma non ha certo convinto tutti.

Tutti contro Keiko. Difficile dunque fare previsioni. Nonostante il divario tra i candidati, è tutt’altro che scontato che sarà la Fujimori a prevalere, come ci fa notare Cesár Ferrari, peruviano, già presidente del Banco Central del Perù e funzionario del Mondo monetario internazionale, attualmente docente di economia alla Pontificia Università Javeriana di Bogotá (Colombia). “La Fujimori può contare su uno zoccolo duro di circa il 40% – spiega -, ma fatica a trovare altri consensi tra la popolazione, il ricordo di suo padre è ancora fresco”.

Tuttavia, la sfiducia è generalizzata: “Molti pensano che con gli ultimi presidenti le cose siano cambiate poco o niente”, aggiunge Ferrari. Secondo il quale è l’attuale modello economico proposto dal Perù a non funzionare. Si basa tutto sulle industrie estrattive, sulle miniere.

Le uniche proposte di inversione di tendenza durante la campagna elettorale sono arrivate da Verónica Mendoza, che ha proposto di rafforzare il manifatturiero e di spostare l’attenzione dal capitale al lavoro. Altri temi ancora irrisolti, secondo Ferrari sono la crescente povertà – “tutti ne parlano ma la soluzione non arriva” – e la corruzione.

Comunità indigene: tra speranze e preoccupazione. Alla tornata elettorale hanno guardato con preoccupazione, ma anche con qualche speranza, quelle realtà che si occupano in primo luogo di difendere le popolazioni indigene e di custodire il creato, di fronte ai continui progetti di attività estrattive.
Abbiamo interpellato a questo proposito Richard O’Diana, avvocato del Centro amazónico de antropología y aplicación pratica (Caaap), organismo collegato alla Repam, la Rete ecclesiale pan amazzonica. “Rispetto alle elezioni di cinque anni fa – spiega – il tema è più presente. Da una parte, durante la presidenza Garcia c’erano stati nella regione amazzonica forti conflitti sociali, anche sfociati in violenze. Il presidente Humala già nel 2011 aveva promosso la legge che istituiva la ‘consulta previa’: le comunità vanno consultate quando ci sono progetti che le coinvolgono”. Dal 2012 i casi in cui è stata applicata sono stati 21. Si può fare di più ma, fa notare O’Diana, “il tema è stato istituzionalizzato ed affrontato in campagna elettorale”. Ma molto resta ancora da fare:

nel 2015 esistevano ancora 666 comunità indigene e 303 comunità “campesine” ancora non riconosciute. E le proposte dei candidati sulla risoluzione dei numerosi conflitti sociali sono ancora deludenti.

“Il 60% dei conflitti sociali viene da progetti di carattere estrattivo – spiega O’Diana -. Serve un organismo indipendente che si occupi della risoluzione dei conflitti”.
Inoltre la ricchezza che arriva al Paese dall’attività estrattiva di minerali e petrolio solo in minima parte arriva alle popolazioni così pesantemente coinvolte, “gli indennizzi non arrivano in modo diretto, ma attraverso i governi regionali, e spesso la gran parte si perde a causa della corruzione”.